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75 anni di diritti umani

foto della Corte EDU di Strasburgo con l’ex primo Greffier italiano Michele De Salvia (al centro).

Editoriale di Donato Milano

Dichiarazione Universale e Convenzione Europea a confronto

…(aveva  ragione  René Cassin)

(parte 1^)

Tutte le persone che hanno poco più di 70 anni, possono definirsi “figli dei Diritti” perché l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948 adottò a Parigi la “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”, che apparve come un astro nascente, per riportare la luce nel buio provocato dall’evento bellico mondiale, dove all’ articolo 1 recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti . Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza” .

Molti commentatori hanno voluto vedere piena assonanza fra la Carta dei Diritti Umani  della Commissione ONU e la nostra Carta Costituzionale frutto del lavoro pressoché coevo dell’Assemblea Costituente fra gli anni ’46 e ’48, miranti entrambi al riconoscimento dei diritti fondamentali del genere umano, per superare gli orrori della guerra, che aveva causato abusi indicibili e oltre 70 milioni di vittime.

La «Dichiarazione Universale» pur annoverando personaggi autorevoli fra quelli che si impegnarono nella stesura dei suoi 30 articoli, come ad esempio Eleonora Roosevelt, vedova del presidente americano, conteneva però un importante vulnus, rappresentato dal fatto che le norme di diritto contemplate, per quanto fortemente innovatrici, non erano vincolanti per gli Stati aderenti.

Praticamente un bel mazzo di fiori di “diritti” quali: costituzione democratica, uguaglianza, sicurezza, proibizione della schiavitù e della tortura, cittadinanza, diritti processuali, diritti all’asilo, alla libertà di movimento e alla formazione della famiglia, diritto di proprietà, libertà di manifestazione di pensiero, libertà di riunione e associazione, libertà di religione, nonché diritto al lavoro, diritto all’istruzione, allo svago e persino ad un ambiente salubre …. Tante belle parole, senza sapere però come, quando, dove e a chi il singolo cittadino avrebbe dovuto rivolgersi per la loro tutela in concreto.

La risposta, però, giunse abbastanza presto quando, due anni dopo, il 4 novembre del 1950, venne firmata a Roma la “Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo” (d’ora in avanti C.E.D.U.), dai 13 Paesi allora aderenti al Consiglio d’Europa (Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Turchia), istituzione sorta appunto per impedire il ripetersi degli orrori della guerra e riportare pace e giustizia nel continente Europeo.

E’ bene chiarire che il “Consiglio Europeo e dell’Unione Europea”, costituiscono per così dire la voce dei 27 paesi membri dell’Unione, che sono cosa ben distinta dal Consiglio d’Europa composto da 47 Paesi  (in verità oggi sono 46, per la fuoriuscita della Russia per i noti eventi bellici) che per farvi parte sono tenuti al fondamentale rispetto della democrazia.

La C.E.D.U. entrò in vigore il 3 settembre del 1953 e venne ratificata successivamente da tutti gli Stati contraenti (l’Italia lo fece con legge n. 848  del 4 agosto 1955) con l’intento di  rispondere alla domanda di tutela internazionale dei diritti umani partendo dal suo articolo n.1 che recita: “Le Alte Parti contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione”, si sottolinea “riconoscono” (non  “si impegnano a riconoscere”), come mi fece notare l’autorevole primo Greffier italiano della Corte Michele De Salvia quando lo incontrai nel 2017 nei corridoi della Maison d’Europe a Strasburgo.

La Corte di Strasburgo é l’organo autorizzato ad interpretare e dare attuazione concreta alla Convenzione mediante statuizioni alle quali gli Stati membri sono obbligati ad attenersi, ma tale istituzione oltre ad essere ignorata dalle Università e dal mondo forense, nei suoi primi decenni ha funzionato a geometria variabile, almeno fino alla entrata in vigore del suo Protocollo n. 11, il 1 novembre 1998, con il quale finalmente venne stabilita la operatività stabile e permanente della Corte, con un numero di Giudici pari agli Stati aderenti al Consiglio d’Europa, con un incarico di almeno 6 anni e non superiore a 9 anni e l’l’obbligo di operare a tempo pieno per la “Corte” e quindi di dover risiedere stabilmente a Strasburgo per l’intero periodo del mandato ricevuto.

Inoltre con il Protocollo n.11 veniva acclarato il diritto per tutti i cittadini dei 47 (rectius 46) stati membri del Consiglio d’Europa al ricorso individuale, non più soggetto alla accettazione del singolo Stato e senza sottoporlo al filtro della Commissione, rivolgendolo quindi direttamente alla Corte.

L’innovazione era sostanziale e gli effetti non tardarono a farsi sentire, dato che nei primi decenni il numero di ricorsi era stato irrisorio, nonostante la presenza di Giudici autorevolissimi, fra cui forse il più prestigioso Presidente della Corte (dal 1965 al 1968) Renè Cassin, ex componente della Commissione ONU per i Diritti Universali ed ex Vice Presidente del Consiglio di Stato di Francia, che aveva una sua idea per la tutela dei Diritti Umani diversa da quella realizzatasi … (continua)

Avv. Donato Milano

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