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Saul Bellow – Il re della pioggia

Ancora un autore americano, ancora un premio Nobel per la letteratura ( 1976) Saul Bellow (1915-2005).

Il libro che abbiamo nella soffitta è “il re della pioggia” pubblicato nel 1959 (il capolavoro di Bellow è Herzog).

E’ sicuramente una scrittura raffinata ed essenziale, una storia che offre una sorta di pathos, coinvolge nella azione, ma alla fine consegna una metafora dell’uomo moderno, smarrito che per ritrovare se stesso deve andare il più lontano possibile dall’America in Africa.

Cambiamento radicale

Eh si, l’idea di fondo che sta alla base del pensiero di molti giovani, e l’indicazione che quando ci si smarrisce è impossibile pensare di ritrovare se stessi nel proprio orto o giardino.

Figlio di genitori ebrei emigrati nel 1913 dalla Russia in Canada, Bellow nasce il 10 luglio 1915 a Lachine (Quebec), e trascorre i primi anni in uno dei quartieri più poveri di Montreal, dove si parlano quattro lingue: lo yiddish in famiglia, l’inglese e il francese nelle strade, l’ebraico nella scuola dove Saul viene mandato per imparare a leggere la Bibbia ma, soprattutto, per prepararsi ad entrare nel “Popolo del libro”

Bellow, una delle voci più valide della letteratura statunitense del secondo Novecento, inizia in sordina la sua carriera pubblicando, nel 1941, un breve racconto sulla Partisan Review e, nel 1944, ilromanzo “L’uomo in bilico”.

Nulla ancora di notevole in queste prove, come in quella successiva, La vittima (1947), ma con Le avventure di Augie March del 1953, che gli propizia per la prima volta il National Book Award,

Bellow diventa una significativa presenza nel panorama letterario americano, assicurandosi via via almeno una dozzina di premi in patria e all’estero, tra i quali altri due National Book Award, un Pulitzer e soprattutto il Nobel del 1976 che lo colloca definitivamente tra i massimi esponenti della letteratura.

Il re della pioggia, parla di un benestante americano, Eugenie Henderson, presuntuoso cultore della propria personalità, umanissimo ma contraddittorio e assolutamente incapace di placare le proprie irrequietezze.

Stravolto e soffocato dalla moderna civiltà, per superare la sua crisi esistenziale fa un viaggio in Africa entrando casualmente in contatto con due tribù locali.

Abbiamo visto, in alcuni racconti fantastici, persone traslate nel tempo, “una americano nelle corti del Re Artù” per esempio o i “Viaggi di Gulliver”; ma questa volta è, come suggerisce lo stesso autore, è un libro che conserva una ironia del contrasto, dalla ricca metropoli alle tribù africane, difatti il protagonista entra in contatto con società arcaiche che vivono lontane dai ritmi e dalle credenze della società occidentale.

La narrazione diventa anche cronaca dei caratteri, delle credenze religiose, dei riti propiziatori e delle superstizioni, del modus viventi, del modo di acconciarsi nel vestiario, esibendo una grande ampiezza di analisi e immaginazione, e riportando al lettore una sorta di feed-back che gli permette di costruire nella propria mente rappresentazioni intense, intrecciate di aromi e ritmi della savana.

Tutto questo si compendia con analisi del proprio vissuto, di reminiscenze infantili, insomma la vita trascorsa.

Il dosaggio che spesso nella letteratura si usa, ne è maestro il grande Garzia Marquez nei “Centanni di solitudine”, del flash-back per passare dal presente al passato, qui è un analogo flusso di coscienza, vissuto con la forma della prima persona che narra.

Un libro appassiona, coinvolge… e se la vita è carica di noia perché non viaggiare e fare l’amicizia con il re dei Wariri Dahfu?

La frequentazione del re negro è determinante per l’evoluzione spirituale di Henderson che non tarda a rendersi conto degli ipocriti formalismi della civiltà occidentale e a cogliere l’autentico valore della vita e della morte

Saul Bellow in una conferenza del 1990

 

Scrive Famiglia Cristiana nel presentare l’autore: ” L’importante è convincersi che nell’odierna «società del progresso» quel che conta veramente è il «farsi uomo», al di fuori di ogni condizionamento sociale e consumistico: è sempre possibile, infatti, in qualsiasi contesto di crisi, recuperare lo spirito e, conseguentemente, grazie alla mediazione dell’amore, vivere nell’esatta dimensione umana.

In effetti è proprio la tenace volontà di vivere dei suoi personaggi a sostanziare il messaggio di Bellow, concretizzabile nella stabilità degli affetti familiari e nel rispetto delle convinzioni religiose e della dignità dell’uomo”

COMINCIA COSÌ. . .

Perché ho fatto questo viaggio in Africa? La spiegazione non è semplice. Le mie cose andavano sempre peggio, sempre peggio, e a un certo punto erano diventate un viluppo inestricabile.

Se ripenso alla mia situazione all’età di cinquantacinque anni, quando comprai il biglietto, vedo solo dolore. I fatti mi si affollano addosso, sì che ne avverto l’oppressione sul petto.

Irrompono in frotta disordinata: i miei genitori, le mie mogli, le mie ragazze, la mia fattoria, i miei animali, le mie abitudini, i miei soldi, le mie lezioni di musica, le mie sbornie, i miei pregiudizi, la mia violenza, i miei denti, la mia faccia, l’anima mia!

Ed io urlo: «No, no, via, maledetti, lasciatemi stare!». Ma non possono lasciarmi stare. Fanno parte di me. Son cose mie. E mi si ammucchiano addosso da ogni parte. E ne viene il caos.

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