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Cesare Pavese: La luna e i falò

Cesare Pavese lo scrive alla fine del 1949, nel giugno del 1950 vinse il premio Strega, il 27 agosto dello stesso anno si uccide.

Di lui si dirà che fu già un bambino precocemente adulto a cinque anni per aver perso il padre, ma anche con un carattere introverso e instabile.

Per venire al nostro romanzo, bisogna dire che è proprio dalla vita reale che nasce la trama.

Pavese visse per quarant’anni a Torino, S. Stefano fu il luogo della sua memoria e immaginazione.

“Lungo lo stradone che porta da Santo Stefano Belbo a Canelli, nella bottega del falegname Scaglione, Cesare conobbe Pinolo, il più piccolo dei figli che descriverà in alcune sue opere, soprattutto ne La luna e i falò dove comparirà col soprannome di Nuto e al quale rimarrà sempre legato” (wikipedia).

Quindi possiamo in qualche modo riconoscere nel racconto una sorta di parziale autobiografia, per lo meno di una voglia di tornare. Quella maledetta voglia che hanno gli esuli ovunque residenti.

Nella luna e i falò la troviamo espressa in quella stupenda frase che chissà quante volte abbiamo sentito ripetere:

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

La luna di Pavese è quella di Nuto, “… Questa è nuova ’ dissi. ’ Allora credi anche nella luna? ’ ’ La luna ’ disse Nuto, ’ bisogna crederci per forza. Prova a tagliare a luna piena un pino, te lo mangiano i vermi. Una tina la devi lavare quando la luna è giovane. Perfino gli innesti, se non si fanno ai primi giorni della luna, non attaccano. ’ “.

Quella di Nuto è l’agricoltura avanguardista degli eco-contadini biodinamici di oggi, ma nel racconto assume, per la conoscenza dell’epoca, per la necessità del racconto, una sorta di credenza popolare.

Tornare è sempre una cosa che affascina, il passato però non è sempre uguale e lo sa bene il protagonista del romanzo che torna dall’America in “una specie di pellegrinaggio alla ricerca delle proprie radici – scrive l’editore nel ripiego della copertina – avendo
per accompagnatore il Virgilio della modesta Divina Commedia l’amico d’infanzia Nuto, falegname e suonatore di clarino” ..

Un anima che s’integra con il paesaggio con la sua semplicità e purezza

Un paesaggio che è mutato, alberi che non ci sono più, e se per caso gli odori ricompaiono, ecco come li avverte l’autore:

” Fa un sole su questi bricchi, un riverbero di grillaia e di tufi che mie ero dimenticato Qui il caldo più che scende dal cielo esce di sotto – dalla terra, dal fondo tra le viti che sembra si sia mangiato ogni verde per andare tutto in tralcio. E’ un caldo che mi piace, sa un odore: ci sono dentro anch’io a quest’odore, ci sono dentro tante vendemmi e fienagioni e sfogliature, tanti sapori e tante voglie che non sapevo più di avere addosso”

La luna e i falò è un capolavoro del Novecento di un autore che è stato maestro per molti, uno che lo citava spesso era Calvino, che abbiamo visto giorni fa.

Molti ricordano Cesare Pavese per il romanzo “il mestiere di vivere” che è un diario scritto tra il 1935 ed il 1950, e per la raccolta di poesie ” Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi” però tutti usciti postumi.

Il vero ultimo libro e quello che presento oggi, uno stupendo ritratto di una area interna, ricordi e profumi, che affascinano il lettore, ed è come stare ancora insieme all’autore, a guardare i paesi che di notte paiono nidi di stelle.

La rete

https://doc.studenti.it/scheda-libro/italiano/3/luna-falo-pavese.html

(53) La luna e il falò. 1° Capitolo. Cesare Pavese. Letto dal prof. Garbarino – YouTube

 

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