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Matera, cetaceo fossile nel lago di San Giuliano: la scoperta del Dott. Lionetti

Fonte: Gazzetta della Val d'Agri

Il 27 dicembre del 2000 il Dott. Gianfranco Lionetti ha rinvenuto un cetaceo fossile sulla sponda orografica sinistra del lago artificiale di San Giuliano nel territorio di Matera, in località Iazzo di Porcari, dove tutt’ora giace. Una volta rinvenuto, è stato contestualmente segnalato, tramite comunicazione telefonica, prima alla responsabile del Museo Archeologico D. Ridola di Matera, dott.ssa B. Amendolagine e immediatamente dopo alla soprintendente archeologica di Basilicata, dott.ssa M.L. Nava.

Cosa è accaduto dopo la scoperta?

Per ragioni sconosciute la segnalazione è stata ignorata, nonostante le reiterate sollecitazioni all’epoca dei fatti da parte di Lionetti. Sono trascorsi ben sei anni – che per un fossile giacente sulla sponda di un bacino imbrifero possono essere causa anche di totale distruzione per erosione – nel corso dei quali, per i primi tre anni, ossia tra l’anno 2000 e l’anno 2003, sono perdurate condizioni di siccità e, pertanto, le evidenze paleontologiche in questione sono rimaste emerse. Questo sta a significare che c’erano ancora le condizioni ideali per un pronto recupero da parte delle istituzioni preposte alla tutela dei Beni Culturali, condizioni a cui, evidentemente, però non hanno voluto dare alcuna rilevanza. Nei tre anni successivi, ossia tra il 2003 e il 2006, sono tornate le piogge e, di conseguenza, il livello del lago ha ripreso a salire con conseguente sommersione del giacimento fossilifero. Il moto ondoso a cui il reperto paleontologico è stato in quel periodo soggetto, ha determinato la distruzione di tutti i distretti ossei e ha comportato l’irreversibile alterazione dei segmenti ossei, appunto, posti nei livelli sottostanti con grave decimazione degli stessi.

Quando la situazione è cambiata?

Il livello dell’acqua del lago è tornato a calare nei primi giorni dell’agosto 2006. Precisamente il 6 agosto di quell’anno, infatti, l’acqua ha cominciato a lambire nuove parti dello scheletro del cetaceo fossile, ossia un tratto di colonna vertebrale costituito da 12 vertebre in connessione anatomica. La documentazione fotografica attesta un grave stato di deterioramento di queste nuove evidenze, in cui i corpi vertebrali appaiono letteralmente svuotati del loro tessuto spugnoso a causa dell’erosione idrica. Quella stessa mattina, mentre le parti residue del fossile venivano alla luce, il proprietario del fondo, il sig Vincenzo Ventricelli, portando i suoi armenti al pascolo, ha notato gli evidenti resti scheletrici e nella convinzione di trovarsi di fronte ai resti di un rettile giurassico si è avviato prontamente presso il Museo Archeologico Ridola di Matera per segnalare quanto aveva appena visto, non sapendo che la Soprintendenza di Basilicata fosse già a conoscenza dell’esistenza di quel reperto, come dichiarato in varie interviste dal dott A. de Siena, archeologo della stessa suddetta Soprintendenza lucana. Anche il Sig. Ventricelli però è stato ignorato, tant’è che si è visto costretto a denunciare la sua presunta scoperta presso il locale Comando dei Carabinieri. Con l’intervento dell’Arma nella questione la Soprintendenza è dovuta intervenire sul fossile con l’allestimento di uno strato protettivo, finalizzato a impedirne un’ulteriore decimazione.

Quali sono state le conseguenze del loro intervento?

La struttura protettiva escogitata in quell’agosto 2006 si è rivelata ben presto inutile di fronte alla forza del moto ondoso che più volte l’ha distrutta, apportando ulteriori danni al fossile (tutti rigorosamente documentati). Il recupero delle evidenze residue è poi avvenuto a più riprese tra l’autunno del 2006 e l’inverno del 2011, in seguito a ripetute sommersioni e reiterati danni al resto fossile. Il risultato di tanta negligenza è che delle oltre 170 ossa che costituiscono lo scheletro completo di un cetaceo misticeto, come quello del Lago di San Giuliano di Matera, ne rimangono ad oggi una ventina – tra cui la parte posteriore del cranio, gravemente danneggiata dalle condizioni chimico fisiche del giacimento. Nel giugno del 2021, a seguito di azione legale intentata dal sig. Lionetti contro la Soprintendenza di Basilicata, la direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, Servizio II, ha sancito definitivamente che la scoperta e relativa segnalazione del cetaceo fossile di San Giuliano dovesse essere attribuita al sig. Lionetti. Tale documento non è mai stato notificato al sig. Lionetti, che ne è venuto a conoscenza solo quando il suo avvocato ha chiesto l’accesso agli atti in possesso della Soprintendenza.

E la condizione odierna?

Attualmente le ossa superstiti sono sottoposte a interventi di restauro, in attesa di una loro futura musealizzazione da effettuarsi nel corso del 2024. L’area del lago di San Giuliano ha rivelato intanto altre importanti evidenze di carattere archeologico (fra cui sette silos neolitici contenenti resti umani), anche queste segnalate dal sig. Lionetti e, come i resti ossei del cetaceo, anche queste ignorate e ora quasi azzerate dalla forza erosiva delle acque del lago.

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