Principale Attualità & Cronaca Padre del regista Sergio Rubini, una storia esemplare

Padre del regista Sergio Rubini, una storia esemplare

Una grande perdita per tutti. Ma se quello che un uomo fa per gli altri e per il mondo resta ed è immortale, per dirla con Albert Pine, non è certo vissuto invano Alberto Rubini, venuto meno questo 21 novembre scorso, per la grande eredità del suo esempio, i tanti ricordi che ha lasciato a chi lo conosceva e all’intera comunità della sua città d’adozione, Grumo Appula, che ha animato e dov’era amato e stimato come pochi. “Un’anima in due corpi”, come qualcuno li ha definiti guardandoli insieme e osservando il forte rapporto simbiotico tra lui e suo figlio Sergio…beh proprio non volendo credere ad Altro, non è esagerato dire che Alberto è ancora presente tra noi perché adesso continua a vivere in Sergio. D’altronde, davvero difficile pensare all’uno senza pensare all’altro, e non solo per una certa somiglianza fisica: di certo c’è, almeno per noi, che se Sergio ha raggiunto i traguardi che oggi lo vedono come un attore, regista e sceneggiatore di fama internazionale, il segreto principale del suo successo è soprattutto nella formazione che ha avuto, sin da bambino, crescendo in una famiglia di sani valori tradizionali e dove la cultura, il teatro e l’arte, in tutte le sue forme, erano a dir poco di casa.
Impossibile non ricordare oltre a Sergio, parlando di ambiente familiare e di questo «pittore, musicista, sceneggiatore, regista e attore di talento» anche sua figlia Stefania, compositrice e pianista, e almeno uno dei fratelli di Alberto, il prof. Ugo Rubini in quanto, ancorché importante accademico e noto traduttore, è stato persino un impegnato direttore della Compagnia del Teatro universitario di Bari (e pure con prestigiose collaborazioni con l’estero) oltre che scrittore e regista a sua volta.
Ecco così anche spiegato come il Cinema – “settima arte” e sintesi di tutte – è poi entrato nelle corde di Sergio Rubini, dopo le tante esperienze teatrali con il padre, grazie all’incontro fatale con Federico Fellini (che gli affidò addirittura il ruolo di se stesso ne “L’intervista”) nel suo viaggio a Roma e laddove è poi pure maturata l’idea di una riduzione cinematografica di una riuscita pièce teatrale di Umberto Marino. Stesso titolo, “La stazione” ma ambientazione rigorosamente pugliese in quello spazio-tempo passato, ma non del tutto finito, tipico del nostro Sud di provincia, peraltro la cifra nostalgica e vincente di un po’ tutta la produzione di Sergio Rubini.
Un esordio strepitoso questo suo primo lungometraggio, salutato da una pioggia di premi importanti al film e a lui, ma anche alla sua protagonista, Margherita Buy; un successo frutto certamente di una scelta anche affettiva e frutto di emozioni personali, non da poco comunque il sostegno anche fattivo di suo padre, allora ancora capostazione delle Ferrovie Apulo Lucane. Amorevolmente sostenuto dalla sua indimenticabile moglie, l’insegnante e pedagogista Tonia De Paola, tutto il tempo libero di Alberto era però dedicato ai suoi hobby, compresa la pittura: da non dimenticare – un caro ricordo di dieci anni fa – la viva emozione di Alberto e sua moglie per la grande e prolungata mostra dei suoi quadri, in pieno centro a Bari, che l’Associazione “Noi che l’Arte” volle inaugurare in occasione della cerimonia di consegna del “Premio alla Carriera” a Sergio per il suo impegno e dimensione nel Cinema italiano, e mentre lui era impegnato in una lunga serie di repliche al Teatro Petruzzelli  per uno straordinario “Lo zio Vanja” di Checov, insieme ad un altro grande attore e collega pugliese, Michele Placido, per la regia di Marco Bellocchio.
Rimanendo ancora un attimo nell’ambito del cinema, e attore praticamente presente su tutti i set del figlio, fino all’ultimo “L’amore ritorna” (2004) degne di menzione le sue interpretazioni con Pippo Mezzapesa (“Come a Cassano” 2005) o come tra i protagonisti di “La sabbia negli occhi” (2017) di Alessandro Zizzo, non certo da dimenticare il “Premio come miglior attore” ad Alberto Rubini per “L’abbandono” di Salvatore Lanotte, nel 2011, alla IV edizione del Festival ““ Corto e Cultura nelle Mura di Manfredonia. In ogni caso è stato il teatro il grande amore della sua vita, a cominciare dalla felice esperienza, con la filo-drammatica grumese “Amici dell’Arte” insieme a Vito Fazio e Tiziano Camero, ma poi proseguita con Vito CataldoLuigi D’AlessandroTonino e Rosa Miani e Vito e Vincenzo Peragine per una serie di rappresentazioni dei migliori autori un po’ dappertutto.
Naturalmente saltato, come l’anno scorso per malattia, l’appuntamento annuale di Alberto con l’amico Vito Fazio e suo figlio Michele per il “Natale dei Poeti” (cui partecipava regolarmente anche Sergio) ad accompagnare questo “gentiluomo del teatro” nel suo ultimo viaggio dalla splendida Chiesa di S. Maria Assunta, il fratello Mario, i figli Stefania e Sergio, con sua moglie Carla Cavalluzzi, i suoi nipoti venuti anche da lontano e una piccola folla di amici ed estimatori. Ma certamente ad attenderlo Lassù, oltre all’amata Tonia e al fratello Aldo che l’hanno preceduto, anche un suo caro amico speciale in vita, il Cardinale Francesco Colasuonno, ovvero il braccio destro del Papa e Santo Karol Wojtyla, grande gloria di Grumo e quasi al nastro di partenza per un processo di Beatificazione per quanto ha fatto per la Pace e il Mondo nella sua lunga e pericolosa missione fra due continenti in subbuglio e mettendo a repentaglio la sua stessa vita.
 
Enrico Tedeschi

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