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Carcere Femminile di Trani: l’appello di Domenico Mastrulli, Segretario Generale Nazionale del Co.S.P.

INTERVISTA – Domenico Mastrulli, classe ’59 e originario di Trani, è un sostituto commissario del corpo della Polizia Penitenziaria in pensione. È laureato in Giurisprudenza e ha lavorato per oltre 44 anni alle dipendenze del Ministero della Giustizia; è stato Capo matricola e Capo della Polizia Giudiziaria girando molti istituti nazionali in Piemonte, Lombardia, Calabria, Sicilia. Dal ’93, mentre era Sottoufficiale, ha cominciato il suo impegno nel settore dal punto di vista sindacale ed oggi è, infatti, il Segretario Generale Nazionale del Coordinamento Sindacale Penitenziario (Co.S.P.) da lui stesso fondato nell’aprile del 2013. Nel 96’ è stato per una ventina di giorni Comandante di Reparto del Carcere Femminile di Trani, luogo di reclusione che versa attualmente in una situazione disastrosa. L’ho intervistato per capirne di più.

Qual è il problema alla radice?

Va detto sin dal principio che il problema, ahimè, è di portata nazionale. In Italia abbiamo oltre 200 istituti penitenziari, di cui interamente femminili una trentina come quello di Trani, appunto, o di Venezia, Milano San Vittore, Palermo, Napoli e pochi altri. La Casa di Reclusione per donne di Trani negli anni 80-90 ha ospitato le peggiori terroriste ed ergastolane. All’epoca c’era un personale di Polizia Penitenziaria sufficiente a poter garantire tutti i servizi, ma con il passare del tempo si è ridotto sempre di più fino a raggiungere l’attuale tragica situazione che vede una sola poliziotta a gestire un intero reparto e una totale disorganizzazione nella gestione degli orari di servizio degli agenti, i quali dovrebbero lavorare sei ore per legge e da contratto delle forze di polizia e, invece, ne fanno anche dieci e più. Ci sono per l’esattezza quarantacinque detenute e solo undici unità, divise in tre turni. Manca la predisposizione delle ferie e dei permessi, i piantonamenti. Insomma, non si riesce ad assicurare neanche l’ordinarietà.

A cosa è dovuto e quali sono le conseguenze?

Il dramma nasce dal fatto che il carcere maschile si appropria delle poliziotte del femminile e coloro che rimangono poi a doversi occupare di tutto autonomamente, di conseguenza non reggono lo stress e vanno in tilt, anzi come si dice in questi casi “cadono sul campo”, nel senso che si ammalano a livello psicologico. Considera che in media le poliziotte sono tutte circa, se non ultra, cinquantenni. È chiaro, quindi, che la cattiva gestione delle risorse umane in generale porta a una situazione di estremo disagio perché anche se, per fare un esempio, dal Dipartimento di mobilità nazionale a Roma assegnano al carcere femminile di Trani qualche unità, queste invece di essere trasferite effettivamente lì, vengono dirottate al maschile. L’attuale condizione provoca un dispendio non solo di risorse umane ma anche di denaro pubblico, evitabilissimo se qualcuno si muovesse per risolvere ed evitare danni più gravi. Si immagini che un mesetto fa c’è stato in tentativo di ribellione da parte di più detenute e sono stati chiesti i rinforzi al maschile ma, anche di fronte a un rischio vita, invece di inviare immediatamente una squadra di pronto intervento, è stato risposto: “Arrangiatevi! Già noi qui non ce la facciamo”.

Come andrebbe risolta la situazione?

Mi sono rivolto al Ministro della Giustizia e al Provveditore Regionale di Puglia e Basilicata per consigliar loro o di riportare immediatamente le poliziotte nel Carcere femminile di Trani oppure di chiuderlo e spostare le quarantacinque detenute in un nuovo padiglione della Casa circondariale di Andria, che potrebbe essere subito disponibile ad accoglierle. In questo modo avremmo il personale utile alla gestione del padiglione, maggiore supporto degli uomini, miglioreremmo i costi, avremmo mura di cinta e soprattutto una continuità nel comando della direzione penitenziaria, cosa che oggi purtroppo manca. Io mi auguro che il Ministro Nordio, l’attuale capo del Dipartimento, il Presidente Russo, e il Provveditore Giuseppe Marzoni, smettano di fare l’orecchio da mercante e prendano seriamente in considerazione le mie segnalazioni.

Perché esiste questa differenza tra la casa di reclusione femminile e quella maschile? 

Molto semplice. Sono due istituti a qualche chilometro di distanza l’uno dall’altro: quello per donne, situato vicino alla Villa Comunale, alla destra della chiesa, è un ex convento da sempre trascurato, dimenticato da Dio, molto dispersivo e che purtroppo non avendo un direttore o comandante di reparto fisso è affidato alla sorveglianza di un’ispettrice, dirigente di Polizia Penitenziaria; quello maschile, invece, è molto grande, ha oltre 400 detenuti di tutte le tipologie, con una direzione stabile, un gruppo cinefilo, 200 unità all’interno. La trascuratezza e l’assorbimento di personale hanno indebolito la casa di reclusione femminile, che storicamente è la vera Casa Madre penitenziaria e ad oggi non c’è più alcun interesse nel recuperarlo, in quanto il maschile già richiede sforzi non indifferenti e comporta problematiche importanti. Ricordo, per farmi comprendere, la duplice evasione avvenuta due anni fa o l’operazione del sequestro di droga e cellulari fatti entrare nel carcere che comportò sedici arresti tra Trani, Bisceglie e Bari. Chiaramente eventi del genere richiedono più impegno se messi a confronto con ciò che accade all’istituto femminile e, inoltre, consideriamo anche che, mentre in quest’ultimo ci sono in totale 40 detenute, nel maschile un solo reparto ne ospita 50-60. Il loro ragionamento perciò è: “Se noi gestiamo 400-500 detenuti, come fate voi a non riuscire a gestirne una quarantina?”. La verità è anche che l’attuale collocazione delle sezioni detentive nel femminile – così come prima descritta – richiede per coprirla non un solo agente, ma almeno cinque.

E più in generale, in che condizione versano le carceri in Puglia?

In Puglia abbiamo 12 carceri, ma da quando l’attuale provveditorato comprende anche la Basilicata, contiamo 15 carceri tra le due regioni. Dovremmo avere 3.500 agenti, ma ne abbiamo solo 2.300, quindi siamo in netta carenza di personale a fronte di una popolazione detenuta che è aumentata del 129%. Le carceri di Lecce, Taranto e Bari sono in una grave condizione di sovrappopolazione, quello di Foggia addirittura due anni fa ricorderai che durante il Covid ha visto l’evasione di 75 detenuti. Consideriamo che in questo carcere all’epoca la popolazione carceraria era di 750 uomini; promisero che avrebbero riportato la situazione alla regolarità, ma ad oggi è tutto come prima con più di 700 detenuti in una struttura che ne può ospitare al massimo 320. Gli agenti di Foggia quest’anno hanno rischiato anche di non andare in ferie e solo grazie all’intervento del Co.S.P., il mio sindacato, in collaborazione con la Direttrice del carcere siamo riusciti a portare a termine un trasferimento di detenuti eccellente in meno di due giorni. Grande merito a lei, che sta mettendo a rischio la sua vita e si sta esponendo.

Il Coordinamento Sindacale Penitenziario di cosa si occupa?

Il Co.S.P. – sindacato pienamente autonomo e libero, non attaccato in alcun modo alla politica – nasce per il corpo della Polizia Penitenziaria e tratta tutte le argomentazioni utili: dal contratto, agli orari, alla sicurezza, alla salubrità dei posti, alle visite ispettive, alle riunioni, alle condizioni sanitarie e pensionistiche Ci occupiamo di curare la vita dei lavoratori di polizia penitenziaria. Mi rendo conto di essere stato lungimirante nel 2013, quando ho fondato la federazione sindacale, ad allargare il raggio alla sanità, alla scuola, al commercio, alle guardie particolari giurate, tanto che ad oggi siamo un punto di riferimento importante. Circa cinque anni fa abbiamo anche curato il trasporto dei militari dell’ex Croce Rossa Italiana che dopo la smilitarizzazione (quasi 4mila persone), vennero fatti transitare nelle altre Amministrazioni. Oggi ne ho quasi 300 anche nel mio sindacato.

Quali sono i suoi obiettivi da Segretario Generale Nazionale?

L’obiettivo è portare questa organizzazione sindacale ai primi posti, ma soprattutto riuscire ad occuparmi della qualità della vita delle donne e degli uomini in divisa dell’intero Corpo, che ogni giorno rischiano di morire fuori e dentro le carceri. Amo questo lavoro e ho a cuore loro, come un fratello maggiore. Ti do un dato nazionale: il corpo dovrebbe avere 47.000 poliziotti in totale, ma attualmente ne abbiamo per l’esattezza 34.000. Colleghe e colleghi lavorano con sacrificio e in situazioni di estremo pericolo per la loro incolumità: uno qualche giorno fa ha rischiato di essere sgozzato e un altro sequestrato e bruciato con l’olio bollente. È un dato violento questo, ma è la realtà dei fatti. Vorrei anche per questo far passare la Polizia Penitenziaria alle dipendenze del Ministero dell’Interno – così come Vigili del fuoco e Protezione Civile – perché sotto il suo coordinamento ritengo si potrebbe ottenere un miglioramento delle condizioni di vita professionale, formativa e un aumento di organico del Corpo. Negli ultimi tempi, pensa, abbiamo perso 19.000 persone tra chi si dimette, chi va in pensione e i bandi che non sono mai frequenti. Inoltre, c’è anche un altro dato tragico e allarmante da considerare: si contano 67 poliziotti suicidati in vent’anni – di cui 28 solo nell’ultimo triennio. Nello specifico tra questi c’erano anche due baresi: Vito Antonio Morano, mio segretario a San Gimignano, e Umberto Paolillo. Nelle indagini condotte ex post non viene mai fuori come motivazione il disagio lavorativo, ma io sono dell’idea che se riempi una pentola a pressione senza mai fermarti e la metti sul gas, dopo un po’ di certo esploderà. Io voglio combattere anche questo aspetto e, infatti, sono stato a Palazzo Chigi e ho parlato con il capo di gabinetto del Presidente del Consiglio a dicembre scorso per sollecitare un interessamento sulle carceri italiane, ma ancora tutto tace.

https://www.cospsindacato.it/

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