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Pandemia e conflitti cambiano il volto del racket di vite umane: nascoste tra le mura e nel web

L’impegno delle associazioni

«Ragazza, alzati», sono le sole parole che Gesù rivolge alla 12enne che giace come morta. E la bambina si rialza, riprende il suo cammino. Quante ragazze vediamo “come morte” ai bordi delle nostre strade, uccise dentro, prive di speranza. Quanti schiavi vediamo nei campi e nei cantieri, lo sguardo spento.

Quante vittime della tratta di esseri umani vediamo e quante non ne vediamo, perché sfruttate nel chiuso delle case diventate tortura ed ergastolo… Almeno finché qualcuno non pronuncia quelle parole, «alzati, cammina, noi rimarremo al tuo fianco». È esattamente ciò che fanno le associazioni impegnate contro il commercio di esseri umani, una piaga sempre più estesa, i cui dati dono emersi drammaticamente questa domenica, in occasione della Giornata mondiale contro la tratta di persone. «Il 2022 è stato uno degli anni più impegnativi a causa delle tante guerre in corso, dell’impatto della pandemia da Covid-19 e dei cambiamenti climatici», fa sapere Talitha Kum (in aramaico le due parole pronunciate da Gesù che appunto significano “fanciulla alzati”), la rete globale di suore e partner alleati, fondata nel 2009 dall’Unione internazionale delle Superiore generali (Uisg). Da allora Talitha Kum, che è diventata una rete di reti internazionali, è attiva in 97 Paesi e raggiunge 560mila persone nel mondo, in fitta e costante collaborazione con le altre religioni. «Le nuove forme di schiavitù sono fortemente connesse alle discriminazioni di genere e al proliferare della povertà, le due principali condizioni su cui si alimentano le attività criminali», si legge nell’ultimo rapporto diffuso ieri in 5 lingue.

È evidente che più le persone sono messe all’angolo da miseria e fragilità, e più saranno vulnerabili, facile preda di trafficanti e sfruttatori. «Questo deve spingerci ad unire le forze per tessere reti di bene – dichiara suor Nadia Coppa, presidente della Uisg – e diffondere la luce che viene dal Vangelo, cercando di raggiungere coloro che svolgono un ruolo decisivo nello sradicare lo sfruttamento degli esseri umani: solo attraverso azioni congiunte e sistematiche sarà possibile il cambiamento che auspichiamo». Un cambiamento globale, che però passa attraverso le singole storie: non letteratura ma vite vissute. Come quella di Jessie, proprietaria di un piccolo chiosco alimentare in Uganda, abbagliata dalla promessa di un lavoro più remunerativo in Medio Oriente e invece diventata vittima di schiavitù domestica: lavoro sfiancante, senza paga alcuna e senza cibo… «Nel secondo tentativo di fuga arrivai in una casa di suore, mi accolsero, mi diedero vestiti e dignità. Chiesi di poter tornare a casa, pensavo sempre a come ero stata felice nel mio piccolo chiosco… Oggi le suore di Thalita Kum in Uganda continuano a starmi accanto». Perché non basta denunciare e fare report, se poi non si concretizzano percorsi di liberazione.

Come quelli che l’associazione Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi attua fin dal 1990, quando l’arrivo massiccio di migranti dall’Albania e dalla Nigeria aumentò repentinamente il numero delle vittime di tratta. Fu don Benzi in persona a fondare il servizio antitratta con la cosiddetta “condivisione di strada”, cioè incontrando le ragazze costrette alla prostituzione, andandole a cercare e offrendo loro, subito, se solo lo volessero, una via d’uscita. Tutti speriamo di vero cuore che lo spirito di cattiveria e insipiente malvagità possa essere definitivamente sconfitto.

Marcario Giacomo

Editorialista de Il Corriere Nazionale

www.corrierenazionale.net

foto onu italia

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