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Il 31 marzo di più di cinque secoli fa, la Spagna cacciò via gli Ebrei dal territorio del Regno

Alhambra fortress sunset in Granada of Spain at andalusian

Una data triste per la Comunità Ebraica, una delle tante Shoah che precedettero quella più recente 

Si avvicina il mese di aprile, durante il quale festeggeremo la sconfitta dei regimi autoritari, e la liberazione non solo del nostro Paese, ma anche di tutte le persone prigioniere e oppresse nei campi di concentramento di metà Europa, gran parte delle quali appartenenti a famiglie di religione ebraica. Le forze statunitensi entrarono nel campo di concentramento di Buchenwald, vicino a Weimar in Germania, l’11 aprile 1945, pochi giorni dopo che i Tedeschi avevano cominciato ad evacuarlo, ed assicurarono la libertà a più di 20.000 prigionieri; giorni dopo esse giunsero anche nei campi di Dora-Mittelbau, Flossenburg, Dachau e Mathausen. Le forze britanniche nello stesso mese entrarono in diversi campi di concentramento nel nord della Germania, tra i quali Neuengamme e Bergen-Belsen, vicino a Celle, e vi trovarono ben 60.000 prigionieri, 10.000 dei quali però morirono nelle settimane successive, per la malnutrizione e le malattie.

Così aveva termine per gli Ebrei contemporanei la Shoah, ovvero l’’Olocausto in quanto genocidio degli ebrei, in ebraico  שואה‎ che significa letteralmente “catastrofe, distruzione”, che ha trovato ragioni storico-politiche nel diffuso antisemitismo secolare.

Negli anni che vanno dal 1933 al 1945 la deportazione e lo sterminio nei campi di concentramento provocò la morte di 4-6 milioni di Ebrei, la cifra esatta non è ricostruibile a causa della sciatteria con la quale vennero registrate le generalità dei prigionieri in ingresso, ed anche a causa dell’imprecisione delle anagrafi di alcuni degli Stati di residenza dei deportati.

Quello che però a volte dimentichiamo, è che la deportazione perpetrata negli anni a noi più vicini è stata soltanto la più recente, perché nei secoli precedenti gli Ebrei in quanto tali dovettero subirne molteplici.

Domani è il giorno 31 di marzo, ed è proprio l’anniversario della decisione con cui il Re e la Regina di Spagna stabilirono l’espulsione degli Ebrei dal territorio del loro Regno, con un conseguente esodo di un grande numero di persone, circa 40.000 (o addirittura 150.000-200.00 secondo le stime meno recenti, ma il conteggio è sicuramente difficile ancora oggi) cittadini spagnoli che dovettero abbandonare le loro case e le loro imprese, per spargersi per ogni dove in Europa, ove spesso subirono ulteriori persecuzioni e diaspore.

Un giorno terribile dunque, fu quel 31 marzo del 1492, quando  Ferdinando II d’Aragona e Isabella I di Castiglia, subito dopo aver conquistato il Regno musulmano di Granada, emisero il Decreto dell’Alhambra che imponeva l’espulsione di tutti gli Ebrei dal Paese.

Però già nel 1478 Ferdinando e Isabella avevano istituito l’Inquisizione, volendo insieme al clero spagnolo liberare il Paese dagli “eretici”, ossia da tutti coloro che seguissero culti e praticassero religioni diverse dal cristianesimo cattolico.

Gli ignominiosi “pogrom” ante litteram, ossia le sommosse sanguinose contro gli Ebrei, considerati capri espiatori del malcontento popolare (ante litteram perché il termine “pogrom” fu coniato con riferimento alle repressioni antisemite avvenute, talvolta col consenso delle autorità, in Russia tra la fine del sec. XIX e l’inizio del XX), e le leggi antisemite avevano inoltre caratterizzato la Spagna cattolica per oltre un secolo prima dell’Ordine dell’Alhambra, causando morti e conversioni che già prima di tale  decreto avevano notevolmente ridotto la popolazione ebraica spagnola.

Infine, dopo avere già costretto gran parte della popolazione ebraica spagnola a convertirsi, la Chiesa e la Corona si impegnarono ad “estirpare” coloro che, pur formalmente convertitisi per evitare l’espulsione, si sospettava praticassero l’ebraismo in segreto: e lo fecero nella gran parte dei casi con metodi estremamente violenti.

D’altra parte, sarebbe stato proprio Tomas de Torquemada (nato a Valladolid il 14 ottobre 1420, morto ad Avila il 16 settembre 1498), il religioso spagnolo ricordato come il primo grande Inquisitore dell’Inquisizione spagnola, priore del convento domenicano della Santa Cruz di Segovia e confessore dei sovrani cattolici, a chiedere ad Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona di espellere tutti gli ebrei, prima ancora che questi emettessero finalmente l’ordine il 31 marzo 1492.

I risultati dell’Editto dell’Alhambra furono drammatici, ad onta della bellezza di quello che per i turisti è ormai solo una affascinante attrazione, un capolavoro architettonico da fotografare più volte.

Agli Ebrei fu dato tempo fino alla fine di luglio del 1492 per lasciare il Paese, con la conseguente vendita frettolosa – o meglio svendita – di molte delle loro terre e dei loro beni ai cattolici a prezzi fallimentari, tirati facilmente verso il basso a causa della estrema situazione di debolezza dei venditori.

Molti si convertirono al cattolicesimo pur di rimanere in Spagna, alcuni continuando a praticare la loro religione in segreto, altri invece aderendo genuinamente, anche se non liberamente, al cattolicesimo. Le stime sono difficili, ma gli studiosi moderni (in particolare, lo storico Michael Lynch) ritengono che siano emigrati circa 40.000 ebrei, mentre le stime più antiche parlano di diverse centinaia di migliaia.

Molti morirono nel tentativo di mettersi in salvo e, in alcuni casi, i rifugiati pagarono i capitani spagnoli per assicurarsi il viaggio verso altri Paesi per poi essere però gettati in mare: affrontando dunque odissee analoghe, attraverso il Mar Mediterraneo, a quelle degli odierni migranti che attraversano l’Africa sfuggendo alla fame e alle persecuzioni, per poi cadere nelle mani di briganti e nocchieri senza scrupoli.

Mentre l’Impero Ottomano accolse con favore l’afflusso di Ebrei spagnoli, molte altre nazioni in Europa li trattarono con la stessa crudeltà degli Spagnoli: sebbene il Portogallo fosse per essi una destinazione popolare, anche ovviamente per la sua notevole vicinanza alla Spagna, i suoi governanti emisero infatti cinque anni dopo un Editto simile a quello dell’Alhambra.

L’anno del decreto dell’Alhambra fu anche l’anno in cui Cristoforo Colombo, navigando per conto della Spagna, “scoprì” le Americhe, segnando così l’inizio di due secoli di sforzi spagnoli per imporre il proprio cattolicesimo ai suoi importanti possedimenti coloniali.

Dopo il decreto dell’Alhambra la Spagna non ha mai più avuto una popolazione ebraica significativa: secondo le stime più recenti la popolazione ebraica in Spagna è attualmente inferiore allo 0,2%.

Vero è che la Spagna ha formalmente revocato il decreto dell’Alhambra soltanto nel 1968, però all’inizio degli anni 2000 sia la Spagna che il Portogallo hanno concesso agli Ebrei sefarditi il diritto di rivendicare la cittadinanza dei Paesi che avevano espulso i loro antenati quasi sei secoli prima.

Infatti, il Paese iberico il 3 ottobre 2015 ha approvato una legge con cui ha previsto la concessione della cittadinanza ai discendenti degli ebrei sefarditi, cacciati nel 1492: la gran parte delle richieste di cittadinanza sono pervenute, secondo la Federazione della Comunità Ebraica di Spagna, dal Marocco, dalla Turchia e dal Venezuela.

A tutti i discendenti delle vittime della Shoah e dei pogrom del 1492, in qualunque parte del mondo essi vivessero, è stato concesso un termine di tre anni per richiedere il passaporto spagnolo, la cittadinanza, e il diritto di vivere e lavorare nell’Unione Europea.

Speriamo che i popoli che ancora oggi sono costretti a fuggire dai loro paesi, a causa della guerra o di politiche scellerate di selezione della razza o dei nuclei nazionali, non debbano aspettare anch’essi più di cinque secoli per vedere finalmente ristabiliti i propri diritti.

Foto dell’Alhambra di Grenada, by LUNAMARINA (copyright)

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