Principale Arte, Cultura & Società Musica, Eventi & Spettacoli L’istrionico Giorgio Marchesi cattura Bari con “Il Fu Mattia Pascal”

L’istrionico Giorgio Marchesi cattura Bari con “Il Fu Mattia Pascal”

Foto di Mara Salcuni

29 GENNAIO 2023 – L’AncheCinema, il teatro polifunzionale barese tra i più attivi del capoluogo nel settore dello spettacolo, è riuscito nell’ambiziosissimo tentativo di portare in scena la rivisitazione di uno dei più celebri masterpiece della letteratura italiana, “Il Fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello ad opera del meraviglioso e super amato attore Giorgio Marchesi. Il risultato? Due soldout impossibili da dimenticare e sinonimo dell’ottimo lavoro svolto da tutto il team ospitante, garanzia ormai da anni di serietà e devozione per la promozione culturale in Città.

Almeno una volta ognuno di noi – e chi lo nega mente – ha sognato di avere una seconda chance di vita, di ricominciare con diverso nome e in un altro luogo la nostra esistenza terrena, cancellando quegli errori commessi in passato che possono far smarrire e perdere positività. Questo rende eternamente attuale “Il Fu Mattia Pascal”, che scava nei turbamenti interiori di un Io un po’ gretto-provinciale e vittima degli eventi e delle persone che lo circondano, rimanendone così tanto schiacciato da desiderare ardentemente una via di fuga. 

Spesso sentiamo dire: “Io sono morto dentro” e in qualche modo è quello che succede al protagonista pirandelliano: dopo esser stato dato per suicida nel suo paese natale Miragno, Mattia Pascal, infelice della vita fin lì condotta, decide di abbandonare la sua identità e di diventare Adriano Meis. Immaginiamo di essere scomparsi per chiunque e di essere finalmente liberi di esprimere noi stessi senza imposizioni, di poter fare “reset” e “play” abbandonando la tristezza e aprendoci alla gioia sfrenata e alla bellezza di vivere a fondo. Sarebbe incredibile, no? Eppure il romanzo ci insegna che non si può mai scappare davvero da chi si è, dalle proprie radici, dalla propria personalissima storia e che non è possibile crearsi una nuova appagante esistenza, stringendo legami precari basati solo su argute menzogne.

Ed è per queste tematiche così profonde e riflessive che spesso la letteratura risulta ai più pesante e tali capolavori del tutto polverosi. Fortunatamente però ci ha pensato Giorgio Marchesi – attore e qui regista, insieme a Simonetta Solder, con musiche scritte e eseguite dal vivo da Raffaele Toninelli – a rivisitare l’opera nel pieno rispetto della sua poetica ma sperimentando un linguaggio teatrale più fresco, interpretato con energia e passione, che la rende accessibile a qualsivoglia spettatore, specie a quello giovane.

La chiave scelta è certamente vincente. Una scenografia essenziale con una sedia, un appendiabiti e un contrabasso per un monologo che risulta esilarante sin dalle prime battute. La capacità di racconto del Marchesi è innegabile e lo conferma, qualora ce ne sia bisogno, l’istrionismo con cui riporta tutta la sequela di avvenimenti bizzarri e grotteschi utilizzando un tono tragicomico spesso sarcastico e autoironico. Assomiglia a un colto cantastorie un po’ cabarettiano, in frac bianco, cilindro e anfibi neri che stemperano la classicità o meglio un Dean Martin e i suoi show americani anni ’60-70: saltellando e abbozzando dei balletti buffi, impersonifica come stessero sfilando davvero davanti a noi tutti i personaggi cardini della sua storia – quali il Malagna, Pomino, Romilda, Oliva, la vedova Pescatrice, Anselmo Paleari e la figlia Adriana e la zia Scolastica – con cambi di voci caricaturali e mimiche comiche, passando da un piagnucolio a una risata fragorosa o isterica. Questo mette certamente in mostra le sue abilità recitative di prim’ordine e permette allo stesso tempo anche di calarsi nel fantasioso romanzo di inizi Novecento con facilità di comprensione e tanto tanto umorismo.

Foto di Mara Salcuni

Parlando ora in prima persona, ora in terza con una dinamica espressiva coinvolgente, esplosiva e a tratti anche frizzantina, Marchesi riesce a condurre il pubblico nella ricostruzione di una vita non davvero vissuta, ricca di eventi tragici e strani, di incongruenze surreali e paradossali interagendo molto spesso a livello visivo con le prime file, tanto da rompere la cosiddetta quarta parete e sembrare piuttosto un vivace dialogo con il vicino di poltrona. È un assunto ormai nel mondo dello spettacolo che gli attori migliori, che resistono nel tempo e collezionano successi, sono quelli che godono di una pluriennale formazione e gavetta in teatro. Fa la differenza se unita a un sublime ed innato talento, impossibile negarlo e poi – ammettiamolo – l’occhio vuole la sua parte e il carisma in un attore è funzionale a catalizzare l’attenzione.

Ad arricchire la ricetta articolata e ben proposta, l’accompagnamento musicale del Toninelli che scandisce il ritmo della rappresentazione ed intensifica gli status emotivi altalenanti del racconto, divenendo un fedele complice narrativo. In un solo momento le note classiche del contrabasso lasciano spazio a una musica elettronica sparata a 100, unita con w/b visual sulle tre pareti del palcoscenico: è il battesimo di Adriano Meis, il cambio di identità e quindi anche di costume, che ora passa a una giacca a vento fluorescente e a degli occhiali da sole scuri. La volontà irrefrenabile di rifarsi una vita, la felicità straripante e le speranze riposte nella nuova avventura, che grazie a strane casualità si appresta ad affrontare, sono talmente palpabili da infervorire anche gli animi dei presenti. Pascal afferma: “Mi trasformerò con paziente studio sicché, alla fine, io possa dire non solo di aver vissuto due volte, ma di essere stato due uomini diversi”.

Foto di Mara Salcuni

Purtroppo, però, come si suole dire, i sogni sono troppo belli per essere veri e anche nei panni di Meis, il protagonista si ritrova incastrato nelle medesime trame meschine che erano stato motivo di oppressione nella sua precedente vita. Decide, dunque, di tornare a Miragno, per tentare di recuperare la sua vera identità, invano. È questa la sconfitta dell’instancabile perdente, il tipico inetto pirandelliano, che continuerà a condurre una vita a metà, insoddisfatto e in totale anonimato.

L’adattamento contemporaneo ed originale del romanzo incentrato sull’individualità e il rapporto con essa asseconda in tutto e per tutto un’inevitabile associazione mentale con la nostra quotidianità, ormai schiava dell’esposizione e del compiacimento nella realtà virtuale dei profili social. Non sfugge alla morale di tale rilettura anche la necessità di spensieratezza e l’urgenza di una vigorosa e prosperosa rinascita di ognuno di noi, specialmente in seguito allo sconvolgimento patito negli ultimi anni.

Dicono che l’autoironia salverà il mondo dall’angoscia esistenziale o che per lo meno aiuterà a prendere la vita meno sul serio, a “ridere di tutte le sciagure e di ogni tormento” come suggerisce Mattia Pascal, quel che è certo è che per più di un’ora – volata e senza rendersene conto – il superlativo Marchesi è riuscito nel suo intento di far sorridere e di utilizzare un pilastro della nostra tradizione culturale come pretesto per comunicare con varie generazioni in 3.0.

https://anchecinema.com/?fbclid=IwAR0IsHU7P_FVumw-X_olaaXWaTEQJXYyc-yATqy1lxgQXBx2AiZ4ULD2G9s

https://www.teatroghione.it/spettacoli/il-fu-mattia-pascal/

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