‘Se volete conoscere un popolo dovete ascoltare la sua musica’- scriveva Platone nel Trecento a.C. Sarà anche un luogo comune, ma è pur vero che il Brasile è il luogo più musicale del mondo: la musica è nelle strade, nella lingua parlata di tutti giorni, nelle movenze, nel modo di camminare, di amoreggiare, di giocare al calcio, di festeggiare e di esprimere dolore. O più precisamente, è visibile ovunque un’attitudine verso la musica che è indubbiamente speciale, unica e che è all’origine della sorprendente ricchezza musicale del Paese. Samba, bossa nova, tropicalismo, jovem guarda, musica nordestina e di Bahia, afro-brasile, forrò, lambada… di quante musiche è fatta la musica del Brasile? Considerata la vastità della tradizione e della cultura musicale del Paese (nel XX secolo seconda, probabilmente, solo a quella anglo-americana) è stato necessario coniare un’etichetta generalista (MPB: Música Popular Brasileira) per indicarla senza dover specificare (cosa peraltro impossibile) le caratteristiche peculiari di ogni genere o stile ma sottolineandone l’origine, il temperamento, il carattere comune.
Ricordavo a me stessa tutto questo mentre, l’anno scorso, ascoltavo ‘Nas Cordas’, un album pubblicato nel 2019 dal musicista Franco Chirivì per i tipi della Dodicilune Edizioni Discografiche e Musicali che alla MPB costituisce un affettuoso omaggio.
‘Sentire propria una musica che viene da lontano vuol dire riconoscersi nelle emozioni che essa esprime – mi raccontava Franco – Non è stato necessario, per me, comprendere le parole per capirne il messaggio: la musica brasiliana si esprime compiutamente attraverso il ritmo, la melodia e l’armonia, che sono d‘altra parte gli elementi fondamentali della musica. Attraverso il suono della chitarra (classica, acustica, jazz) ho voluto catturare quell’accordo di emozioni e sentimenti, che appaiono talvolta in tensione tra loro ma che questa musica riesce a far convivere in armonia e bellezza: un insieme tra nostalgia, malinconia e felicità’.
Con il nuovo album, ‘Meandri’, Franco Chirivì (salentino di Galatone) guarda invece al proprio paese (anche se non manca una dedica carioca).
Pubblicato il 7 ottobre su etichetta Workin’ Label (fondata nel 2009 e guidata dalla pianista e compositrice Irene Scardia) e distribuito da I.R.D., l’album propone delle composizioni inedite, nonché dei classici italiani modellati dalla propria sensibilità e visione musicale, in assonanza con il mood generale dell’intero lavoro.
Protagonista è la chitarra classica (strumento dalle mille sfumature) in un contesto jazzistico, in armonia con i suoni acustici della batteria, del pianoforte e del contrabbasso, mirando ad un sound naturale, ‘colorato solo da un moderato effetto ambientale’.
Per questo progetto Franco si è avvalso della collaborazione di ottimi musicisti della scena salentina, con i quali vanta una profonda amicizia maturata nel corso delle innumerevoli esperienze comuni. Grazie a questa chance, ha potuto conferire ad ogni singolo brano il giusto arrangiamento, creando di volta in volta degli ensemble diversi.
Apre l’album ‘Rio Dance’ con le spumeggianti percussioni brasiliane di Antonio Valzano in tandem con la batteria ritmica di Alessio Borgia. Alla chitarra classica, nella coda, si aggiunge un incalzante solo di chitarra semiacustica.
‘Butterfly’ è scritta a quattro mani con il galatinese Emanuele Coluccia, musicista di rara sensibilità, al sax soprano ad intonare una melodia quasi sfuggente, proprio come una farfalla, mentre ‘New River’ è una dolce melodia evocativa, ispirata dallo scorrere dell’acqua che sembra di udire in sottofondo.
Rivisitare ‘La Canzone Di Marinella’ (1962) non è di certo facile anche se molto intrigante: la scelta nasce da una chiara ispirazione, tanto da spingere Chirivì a vocalizzarne il tema. L’arrangiamento in 4/4 (al posto dei 3/4 originali) ne dilata la melodia, donando al brano una pacata atmosfera sottolineata dal contrabbasso di Marco Bardoscia.
In ‘Bluesotto’ la chitarra classica dialoga con l’ormai famoso contrabbasso di Michele Colaci e la batteria di Borgia in un ‘equilibrio leggero e dinamico’.
Si rompono gli schemi ritmici con ‘O Sole Mio’ (1898) per chitarra sola, per poi immediatamente ritornare con le percussioni incisive di Alessandro Monteduro in ‘Distant Clouds’, momento smooth dell’album, in cui Chirivì accantona la classica per offrire la ribalta alla semiacustica.
Il brano ‘Meandri’ è un percorso a senso unico tutto da scoprire, in cui all’apporto di Colaci si aggiunge l’intrigante piano di Coluccia e la batteria quasi accarezzata da Alex Semprevivo (docente, come Franco, presso l’Accademia di Musica di Lecce ‘Yamaha Music School’).
Chiude il lavoro un altro grande classico italiano, ‘Una Lunga Storia D’Amore’ (1988) di Gino Paoli in cui – alle prese con le corde in nylon e supportato dall’energico drumming di Dario Congedo (docente di batteria pop-rock presso il Conservatorio di musica ‘Tito Schipa’ di Lecce) – Franco si sovraincide imbracciando il basso fretless (senza tasti).
Precisione millimetrica delle dita, memoria muscolare ben sviluppata ma soprattutto un ottimo orecchio (perché è solo questo che permette la precisione necessaria) sono i requisiti per suonare uno strumento del genere che produce un suono molto simile a quello del contrabbasso. Chapeau!
Paola Cecchini