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L’Hub sanitario di Genova dove i piccoli pazienti ucraini cercano il loro papà

La struttura ospita i bambini e le madri fuggite dalla guerra in Ucraina. Molti hanno bisogno di cure, alcuni vanno vaccinati ma tutti hanno “uno sguardo triste” e invocano il padre rimasto spesso in patria a combattere.

AGI –  “Il primo giorno che abbiamo aperto il servizio, c’era una bambina che doveva fare il tampone: le davo le caramelle e le rifiutava, i gessetti per disegnare e non li ha voluti. Continuava a chiamare ‘papà’. Ma il padre non c’era: era rimasto in Ucraina”. Rehhal Oudghough, coordinatore infermieristico di Villa Bombrini, nel quartiere genovese di Cornigliano, diventato hub sanitario per l’assistenza ai profughi fuggiti dalla guerra, non riesce a trattenere le lacrime mentre racconta all’AGI una delle tante storie che ha incrociato dallo scorso lunedì, quando è partito il servizio.

Molti bimbi – racconta – hanno uno sguardo triste, parlano poco. Hanno subito un trauma che spero riescano ad elaborare, ma non è facile“.  Anche le donne sono di poche parole, ci spiega il dottor Oudghough: “Le vedi aspettare il proprio turno composte, sedute, ma con lo sguardo perso. Sono in una fase molto critica”.

Nell’hub avviene l’identificazione e il rilascio del documento sanitario per i profughi, indispensabile perché la legge italiana prevede l’esecuzione di un tampone antigenico rapido entro 48 ore dall’arrivo. Ma qui si fa anche il primo screening medico.

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“Le prime difficoltà sorgono già nella registrazione – spiega il dottore – Gli adulti hanno il passaporto, ma i minori non hanno documenti. Qui generiamo l’STP (il certificato di Straniero Temporaneamente Presente, ndr), un documento sanitario per 6 mesi”. La media di utenza ucraina giornaliera a Villa Bombrini è di 130-160 accessi, di cui il 25% minorenni, per un servizio che è attivo dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 15, il sabato e la domenica dalle 9 alle 12.

“Oggi abbiamo visitato un bimbo di appena 3 mesi – racconta il dottore – La mamma ha avuto problemi di allattamento e la nostra dottoressa ha seguito entrambi. Un altro bambino di un anno e mezzo ha avuto un eritema e dolori all’addome. Quindi lo abbiamo mandato al Gaslini. Qualcuno è stato già avviato alle visite specialistiche. Principalmente ginecologia e pediatria. La Asl sta già creando una rete con gli ambulatori del distretto 9 e del Villa Scassi in caso di urgenze”.

Oltre a quello vaccinale e medico, è attiva la sala colloqui con gli assistenti sociali e si sta attivando anche l’ambulatorio di supporto psicologico. “Abbiamo famiglie che hanno viaggiato almeno 5 giorni – racconta Oudghough – l’emotività è tanta quindi cerchiamo di offrire il servizio, senza però forzare la mano”.

Poiché la lingua è il primo ostacolo, la Asl 3 ha cercato mediatori tra infermieri, assistenti e Oss di origine ucraina. “Al momento abbiamo 4 persone – dice il coordinatore della struttura – si tratta di un’infermiera e due OSS ucraine e di un’altra OSS russa”.

Tra i corridoi di Villa Bombrini incontriamo proprio quest’ultima, Svetlana, che segue le vaccinazioni: “Nessuno si è opposto alla vaccinazione: due persone con la prima dose e quasi tutti gli altri con la terza dose. Ci sono persone che arrivano con il ciclo già completo, ma senza green pass, quindi li abbiamo inseriti nel sistema, per poter generare la certificazione”.

Vicino all’accoglienza, capelli biondi e occhi sorridenti, troviamo invece un’altra Oss, Iryna, originaria di Sumy: “E’ caduta una bomba dietro casa di mia sorella – racconta subito – Il soffitto è crollato e i vetri sono esplosi contro mio cognato, che è malato. Oltre a loro sono rimasti in Ucraina i miei nonni, i nipoti. Sono l’unica della famiglia che è andata via, ormai 20 anni fa”.

Le donne che arrivano, conferma l’operatrice, “sono affaticate, così come sono stanchi i bambini. Quando sentono parlare la loro lingua un po’ si tranquillizzano: io dico loro di fare un bel respiro e aggiungo che siamo qui per aiutarli. Offro l’acqua, qualche dolcetto. Quando i piccoli fanno il tampone, rilascio il ‘diploma di coraggio’ e loro sorridono”.     Ad Iryna, che ha già vissuto l’emergenza covid in prima linea negli ospedali, nelle Rsa, nei gruppi Gsat che visitavano a domicilio, le persone che arrivano affidano le proprie storie: “I bombardamenti – dice – le fughe tragiche, il freddo tremendo. Tutte raccontano quel che hanno subito. E continuano a dire ‘dyakuyu’, che vuol dire grazie”.

Le mediatrici si occupano di tradurre anche i documenti, specialmente i certificati di nascita. “Uno dei problemi che incontriamo – sottolinea la Oss – è la vaccinazione dei minori, perché è previsto il consenso di entrambi i genitori, ma sappiamo che i papà sono rimasti in Ucraina a combattere, quindi aspettiamo linee guida per capire come fare. Per ora stiamo compilando una lista d’attesa dei piccoli da vaccinare”.

I bambini, racconta ancora la Oss “sentono certamente la mancanza del papà, ma sono anche orgogliosi perché sanno che stanno difendendo la loro casa”. Ai piccoli pazienti vengono consegnati anche fogli da colorare, talvolta un peluche: “Lo apprezzano tanto, lo stringono forte” spiega Valentina Parodi, assistente sociale. Nonostante si tratti di persone disorientate e spaventate, “si fidano di noi – prosegue – E noi cerchiamo di entrare in empatia. Non vogliamo lasciarli senza risposte, proviamo a dare sempre riscontri immediati, anche se non possiamo risolvere tutto qui. Nelle condizioni in cui arrivano, non possiamo permetterci però di dir loro di aspettare”.

Valentina spiega che si sono registrati già due casi di positività al Covid e, in circostanze come queste, si è cercato di trovare una soluzione adatta: “Evitiamo di traumatizzare ulteriormente queste persone con un isolamento – racconta – ma il Covid purtroppo esiste ancora e dobbiamo tutelare al meglio queste persone sotto tutti i punti di vista”. Molti inoltre sono arrivati con un gatto, un cane, un coniglio: a Villa Bombrini dunque si sta attivando anche il servizio veterinario “per curare anche questo loro affetto”, dice l’assistente sociale. L’impressione che si ha, è di non trovarsi però di fronte a persone che si lasciano sopraffare dalla disperazione: “La prima cosa che chiedono è curiosa – racconta il dottor Oudghough – Vogliono fare un corso base di italiano. E chiedono dove possono portare i figli a scuola. Cercano subito un modo per integrarsi”, come se l’idea di tornare in Ucraina fosse più un sogno che una concreta possibilità.

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