Principale Ambiente, Natura & Salute La pandemia che decima i presidenti africani

La pandemia che decima i presidenti africani

A rischio alcune istituzioni statali nel mondo, specie nel "Continente antico" dove si registrano rivolte, complotti, virus contagiosi con infarti ricorrenti e interessi economici internazionali mai spenti. Ultimo caso: il Madagascar

Il Presidente della Repubblica del Madagascar, Andry Rajoelina, è scampato a un tentativo di omicidio.
Lo hanno segnalato le autorità dell’isola africana dopo aver arrestato 6 persone con l’accusa di aver organizzato una congiura – nome in codice: “Apollo 21” – per eliminare il capo di Stato tornato al governo il 18 gennaio 2019, dopo una prima esperienza tra il 2009 e il 2014 in cui lo stesso Rajoelina si era insediato manu militari ed aveva instaurato nel Paese un regime dittatoriale1.

Al momento sembra che le autorità malgasce stiano addirittura indagando sulla ramificazione di una vera e propria organizzazione paramilitare nella “Grande Ile”, che avrebbe come “vocazione” quella di “lavorare per lo sviluppo del Madagascar: si parla di un commando assoldato di circa 15 uomini – addestrati e specializzati in operazioni militari – per l’ingaggio dei quali sarebbero stati mobilitati diversi milioni di euro a vari gruppi ed influencer locali e stranieri attraverso un fondo di investimento (la società TsaraFirst).
Nel corso di queste indagini la polizia malgascia avrebbe sequestrato sinora armi da guerra, munizioni, alcuni documenti e somme di denaro.

Madagascar, filo con Haiti (e non solo)?

I fatti denunciati delle autorità del Madagascar ricordano da vicino quanto accaduto il 7 luglio ad Haiti, quando il presidente Jovenel Moïse fu assassinato in casa propria da una squadra di mercenari – formalmente a causa dell’aumento del 50% dei prezzi del carburante alla pompa (“consigliato” dal Fondo Monetario Internazionale) e di alcuni vecchi scandali di corruzione che coinvolsero lui e diversi ministri, in realtà (pare invece) perché Moïse aveva da poco nominato primo ministro Ariel Henry (successivamente figurato tra i possibili mandanti del suo omicidio) per preparare la penisola a nuove elezioni che avrebbero portato ad un referendum costituzionale, ad un nuovo presidente e ad un nuovo parlamento2 -.

Due sembrano essere gli elementi in comune: da una parte il fatto che i killer provenissero tutti dall’estero (nel caso di Moïse si trattava in buona parte di ex militari colombiani e haitiano-statunitensi, nel caso di Rajoelina invece sarebbero stati arrestati vari uomini tra cui due cittadini di nazionalità francese3); dall’altra la casualità che entrambi i presidenti avevano a lungo osteggiato le politiche sanitarie globali dettate dallOrganizzazione mondiale della Sanità (OMS) per far fronte al Co.Vi.D./19: il governo di Moïse aveva infatti rifiutato una fornitura di vaccini – pagando probabilmente anche un prezzo politico per questo diniego4 – e reso Haiti l’unico paese occidentale non vaccinato per molto tempo, mentre il Madagascar aveva più volte aspramente criticato l’OMS per non aver riconosciuto come valido un rimedio naturale al virus5 sponsorizzato dallo stesso Rajoelina.

Caso poi vuole che approcci alternativi a quelli dettati dall’OMS fossero stati scelti in precedenza anche da John Pombe Joseph Magufuli e Pierre Nkurunziza, capi di Stato nell’ordine di Tanzania e Burundi, trovati morti negli ultimi mesi in circostanze a dir poco confuse6 dopo aver cercato per anni di dar forma a una qualche stabilità7 nei propri Paesi.

“Grande Ile”, un contesto politico a dir poco… teso

Il tentato omicidio del presidente Rajoelina pare comunque inserirsi in un più ampio quadro internazionale di destabilizzazione politica e sociale dell’isola: un piano, i cui attori sembrano essere nomi noti del mondo politico, imprenditoriale, clericale e soprattutto militare malgascio, con ruoli che finiscono per ricondursi alla Francia – Paese di origine dei principali indiziati – e agli Stati Uniti – la cui intelligence ha attivamente contribuito agli arresti delle 6 persone – che ha mirato (e forse mira ancora) a colpire personalità distinte attraverso l’operato di funzionari locali di alto livello, con un probabile nucleo infiltrato nei ranghi delle forze di sicurezza nazionali.

Su queste basi gli inquirenti si starebbero concentrando ora sulle frequentazioni imprenditoriali dei due ex ufficiali francesi, in special modo su quelle di uno dei due (Paul Maillot Rafanohama), noto per essere un buon esperto in strategia e gestione di progetti nonché consulente dei gruppi Benchmark Advantage e Madagascar Oil, oltre che molto vicino a strutture clericali cattoliche fortemente radicate sul territorio (in particolare all’arcivescovo di Antananarivo, Odon Marie Arsène Razanakolona).

Tuttavia, se alcune dinamiche dello sventato attacco al presidente Rajoelina restano ancora oscure, di sicuro c’è che salgono a 2 i recenti tentativi di assassinio sulla “Isola Grande”, dopo quello del 10 luglio scorso al segretario di Stato del Ministero della Difesa e capo della gendarmeria nazionale in carica, il generale Richard Ravalomanana.

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Antonio Quarta

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

Il Corriere Nazionale

Note di riferimento:

  1. Il 17 marzo 2009, a seguito di un golpe militare, Andry Rajoelina assunse le funzioni di capo di Stato ad interim al posto di Marc Ravalomanana, accentrando tutte le potestà deliberative nelle proprie mani e costringendo il predecessore alle dimissioni, prima, e ai lavori forzati, poi. Agendo per decreto il neo (auto)proclamato(si) fece arrestare tutti gli oppositori del governo e chiunque avesse apertamente contrastato la sua ascesa al potere, tra cui un presidente della Corte Costituzionale malgascia. Una delle prime misure di Rajoelina presidente fu quella di annullare l’accordo impopolare di Ravalomanana con Daewoo Logistics.
  2. Pochi mesi dopo la sua scomparsa il quotidiano statunitense The New York Times scoprì inoltre che Moïse era venuto in possesso di una lista dei principali trafficanti di droga del Paese e scrisse che gli sforzi messi in campo dal presidente nella lotta al narcotraffico potessero essere stata la (con)causa del suo assassinio.
  3. Successivamente è stato accertato che il fermo con l’accusa di attentato alla sicurezza dello Stato, cospirazione criminale e coinvolgimento in un complotto per assassinare Rajoelina ha riguardato ben 21 uomini, tra cui due ex ufficiali militari: il gendarme franco-malgascio Paul Maillot Rafanoharana ed il marinaio francese Philippe Marc Francois, entrambi in pensione (nota di aggiornamento all’articolo del 29 luglio 2021).
  4. Nei primi mesi del 2021 diverse associazioni per la tutela dei diritti umani e dei diritti delle donne indirizzarono una lettera alla Missione delle Nazioni Unite ad Haiti chiedendo di non supportare più il Presidente nell’attuazione dei suoi “piani anti-democratici” visto che Moïse, annunciando un tentativo di colpo di Stato, aveva fatto arrestare 23 persone e, attraverso un decreto presidenziale definito “illegittimo e incostituzionale”, terminato il mandato di tre giudici della Corte Suprema (Yveckel Dieujuste Dabresil, Wendelle Coq Thelot e Joseph Mécène Jean-Louis), suscitando la preoccupazione degli osservatori internazionali ed in special modo degli Stati Uniti d’America circa la stabilità in quel territorio.
  5. Trattasi del “Covid Organic”, una tisana sviluppata dal Madagascar Institute of Applied Research (MIAR) utilizzando salvia cinese, artemisia e altre erbe di provenienza locale. Diversi paesi africani tra cui Tanzania, Liberia, Guinea Equatoriale e Guinea-Bissau acquistarono – per modiche cifre – la tisana. In seguito la National Academy of Medicine of Madagascar (ANAMEM) e l’OMS espressero, rispettivamente, il loro scetticismo e contrarietà alla cura.
  6. Magufuli è deceduto il 17 marzo 2021 in un ospedale di Dar es Salaam a 61 anni ufficialmente per un arresto cardiaco, come riportato dalla vicepresidente Samia Suluhu in diretta sulla televisione di Stato (dopo settimane di incertezza sulle sue condizioni di salute). Diverse fonti dell’opposizione affermarono però che il presidente – che sempre aveva negato o minimizzato l’esistenza di una pandemia nel proprio Paese – fosse morto di Co.Vi.D./19.
    Anche Nkurunziza viene colto da un infarto, il 6 giugno 2020, durante una partita di calcio a Ngozi. Trasportato all’Hôpital du Cinquantenaire della città di Karuzi, muore due giorni dopo all’età di 55 anni. Pare che la causa ufficiale del decesso sia stata (anche qui) un’infezione da Co.Vi.D./19, aggravata da una forma di diabete di cui – si dice che – Nkurunziza soffrisse da tempo.
  7. John Magufuli si era ridotto lo stipendio da 15.000 a 4.000 dollari al mese – diventando uno dei capi di Stato africani meno pagati nella storia – e aveva svolto il proprio mandato essenzialmente in nome di una vigorosa lotta alla corruzione (durante il suo governo pare che grandi somme di denaro, in precedenza fiscalmente evase, furono investite nell’istruzione e nell’alleviamento della povertà). Accusato dall’Occidente di essere un dittatore omofobo contrario alle libertà civili fondamentali nonché a quelle di espressione e di associazione, nel 2018 – appoggiando una delle sue battute di “caccia agli omosessuali” che vivono in Tanzania – aveva sostenuto che era preferibile far arrabbiare i paesi occidentali piuttosto che “il Dio dei cristiani e dei musulmani”. Laureato con doppio Master in Scienze chimiche (di cui uno conseguito in Inghilterra), passa agli annali per aver modificato le leggi che disciplinavano l’aggiudicazione dei contratti minerari e aver rinegoziato le quote di miniere d’oro detenute dalla multinazionale Acacia Mining, dando a se stesso il potere di risolvere qualsiasi accordo in caso di frode accertata ed eliminando anche il diritto delle società minerarie di ricorrere all’arbitrato internazionale (e si dice che la Giustizia tanzaniana cominciò da allora ad essere leggermente temuta anche da alcuni investitori internazionali).

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