La Poesia è per tutti
foto di copertina Federico Garcia Lorca
… la poesia non si mangia ma può diventare indispensabile
Rubrica culturale del Corriere di Puglia e Lucania, a cura di Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte
L’intento della rubrica è quello di sfatare l’idea che la poesia sia qualcosa di astruso e che possa piacere o non piacere. In realtà la poesia è nelle nostre vite più di quanto noi possiamo immaginare.
Basti pensare alla commistione della poesia con le altre forme artistiche, per esempio alla musica pop, di cui essa è un riflesso.
Proporremo, ogni giorno, pochi grammi di poesia, legati ad un fatto del giorno o ad una data da ricordare sperando che, tra le mille incombenze quotidiane, ogni Lettore, possa ritagliarsi qualche minuto per stare a contatto con l’universo poetico che vibra intorno a noi.
Buona Poesia!
Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte
redazione@corrierepl.it
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Il 7 maggio 1903, nacque a Kazan Nikolaj Alekseevič Zabolockij , poeta, scrittore e traduttore russo. È considerato uno dei grandi poeti russi del XX secolo, ma rimane ancora poco conosciuto in Occidente.
È il primo poeta dell’era sovietica. Dalla sua educazione provinciale ha imparato ad amare la natura e a vedere in essa una parte delle follie dell’uomo.
Ha frequentato l’Istituto Pedagogico a Leningrado, dove ha cominciato a scrivere poesie. Si è laureato nel 1925, e dopo un anno nell’Armata Rossa, ha cominciato a collaborare con una casa editrice statale che si occupava di letteratura per l’infanzia.
Nel 1937 viene accusato di appartenere a un gruppo sovversivo; è arrestato e mandato al confino in un gulag nei pressi di Qaraǧandy.
Dopo il ritorno dall’esilio, comincia a fare il traduttore e pubblica nuove poesie nel 1948 e nel 1957. Muore per un infarto nel 1958, a Mosca, dove si era stabilito due anni prima. Zabolockij apparteneva al ristretto gruppo di «poeti moderni difficili ed è, come Boris Pasternak, un ‘poeta per i poeti’.
È stato un innovatore, con la sua nervosa, frammentaria e surrealistica visione del mondo urbano sovietico, una visione sospesa tra satira e disperazione.
Pioggia
Nella nebbia di nebulose rovine
Incontrando l’alba mattutina,
Essa era quasi immateriale
E svestita di forme di vita.
L’embrione, nutrito da una nube,
Si agitava, ribolliva,
E a un tratto, allegro e potente,
Toccò le corde e prese a cantare.
E brillò l’intero querceto
Di un fulmineo bagliore di pianto,
E le foglie di ogni giuntura
Vibrarono nelle betulle.
Tirata da migliaia di fili
Tra il cielo cupo e la terra,
Irruppe nel torrente degli eventi,
Con la testa rivolta all’ingiù.
Cadeva da lontano, inclinata,
Sul canuto stuolo dei boschi.
E tutta la terra col possente grembo
La beveva, dopo tanti fremiti.