Principale Attualità & Cronaca Violenza contro le donne in lockdown: il racconto di una poliziotta

Violenza contro le donne in lockdown: il racconto di una poliziotta

Nunzia Brancati, vicequestore in forza come dirigente all’Anticrimine nella questura di Napoli, racconta all’AGI come convivenza forzata e difficoltà economiche hanno fatto crescere il fenomeno

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© Polizia di Stato –  La stanza di Alice a Scampia

AGI  – Una situazione di convivenza forzata come quella del lockdown, “magari legata a poi anche a fenomeni come la perdita di lavoro o comunque una ridotta capacità economica, ha potuto certo funzionare come innesco di una violenza che però è stratificata negli anni all’interno di quel nucleo familiare”.

Un fenomeno in crescita

Nunzia Brancati, vicequestore in forza come dirigente all’Anticrimine nella questura di Napoli intervistato dall’AGI, è da tempo impegnata sul fronte del contrasto della violenza di genere e legge anche così i numeri di un fenomeno sempre più pervasivo della nostra società, che nel Napoletano ha visto un incremento.

Tra gennaio e settembre del 2020, infatti, gli omicidi in ambito familiare nel territorio sono stati 6, come nello stesso periodo del 2019, ma le donne vittime sono passate da 3 a 4 e ben due uccise da ex compagni, mentre le altre due hanno trovato la morte sempre per mano di parenti. Sette in totale le vittime di femminicidio in Campania. Sempre nel Napoletano, gli atti persecutori sono scesi da 915 a 823, ma i casi di maltrattamento saliti da 1.058 a 1.146. Le violenze sessuali invece diminuite, da 135 a 109.

Gli ammonimenti del questore, Alessandro Giuliano, sono saliti a 144 rispetto i 139 dell’anno precedente e quelli per atti persecutori sono stati 8 rispetto i 6 tra gennaio-settembre 2019.

La storia di Elena

Dall’azione di Nunzia Brancati arriva una delle storie contenute nell’opuscolo redatto dalla polizia in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ‘Questo non è amore’. È stata infatti la Squadra Mobile a trattare il caso di Elena, cui le percosse del marito Angelo hanno provocato un aborto al sesto mese. Un bimbo che l’uomo sosteneva non essere, e che era diventato un pretesto per picchiare selvaggiamente la sua compagna non solo con le mani, ma anche con il piede di legno di una sedia. Proprio l’interruzione violenta della gravidanza ha convinto la donna a parlare con gli agenti.

Una cultura radicata

Al di là dei numeri, “c’è stato un momento tra marzo e aprile in cui non abbiamo più ricevuto notizie di queste violenze – racconta il vicequestore –  era complicato per le donne raggiungere un ufficio di polizia, tenere i contatti. Improvvisamente poi tra maggio e giugno le segnalazioni e le denunce sono tornata in linea con quelle dell’anno precedente”.

Quella della violenza contro le donne “purtroppo è una cultura radicata, con uno zoccolo duro tale che i nostri interventi continuano ad arrivare quando ormai la vittima è al pronto soccorso. Il primo contato con il caso à spesso l’intervento per una lite in famiglia. E’ difficile che queste siano estemporanee. Spesso sono momenti di comportamenti ripetuti nel tempo”.

La stanza di Alice a Scampia

“Certo il cosiddetto codice rosso, la legge 19/2019 ci ha dato un tempo di intervento molto più stringente, i famosi tre giorni per raccogliere elementi da sottoporre all’autorità giudiziaria e questo è stato importante – ragiona Brancati – importante però è anche l’azione che si sta facendo nelle scuole con gli agenti e più in generale con le forze dell’ordine, e anche quella di formazione dei poliziotti. In più ci sono le stanze di ascolto, che Napoli ha predisposto nel commissariato di Scampia (La stanza di Alice, ndr.) e in quello di Castellammare di Stabia. Insomma abbiamo più strumenti per combatterla”. Ancora in quelle stanze, sottolinea, arrivano “solo fatti gravi di violenze pregresse e stratificati. Ma ci arrivano anche situazioni meno gravi, nelle quali in contatto con le forze dell’ordine consente migliori risultati rispetto agli interventi sulla lite in famiglia“.

Grazie a una specifica formazione degli operatori di polizia “possiamo intravedere se ci sono situazioni che degenerano o meno. Però chi ha il coraggio della denuncia, chi ha un percorso personale che le consente di arrivare a una denuncia, ci arriva con consapevolezza di un possibile riscatto, di una possibile libertà. Per altre donne c’è bisogno di un lavoro più lungo”. La violenza di genere, insiste il dirigente di polizia, “ha radici culturali dure da modificare. Sarà un processo lento ed è per questo che siamo partiti dalle scuole”. Ma non ha specificità sociali. “Esiste anche nelle sfere sociali più elevate e più acculturate – conferma Brancati –  l’abbiamo visto di recente con la morte violenta di una docente della facoltà di agraria di Napoli per mano del suo ex. Certo rispetto al femminicidio e la violenza fisica, negli strati culturalmente o socialmente più elevati prevale la violenza psicologica o economica o fenomeni come quello del revenge porn, la vendetta attraverso i social”.

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