Principale Economia & Finanza Quanto vale una azione della Popolare di Bari?  € 100!

Quanto vale una azione della Popolare di Bari?  € 100!

di Antonio Vox, Commissario regionale PLI per la Puglia 

In un mio viaggio da Bari a Roma, in treno, ho avuto l’opportunità di conoscere una coppia di anziani coniugi in viaggio per Milano, passando da Roma, per raggiungere il figlio ingegnere e la figlia matematica, entrambi laureati a Bari e trasferitisi a Milano, in cerca di lavoro.

Una coppia, come tante altre, entrambi in pensione che, dopo aver portato alla laurea i loro due figli, hanno ora il problema della loro collocazione lavorativa.

L’argomento di conversazione si è focalizzato, subito, sul loro terzo problema: i risparmi.

Segno di una ferita aperta.

La coppia, entrambi azionisti della Banca Popolare di Bari, nella quale hanno, per di più, un consistente conto corrente, hanno mostrato grande preoccupazione sul futuro dei loro risparmi: irritati e preoccupati per lo stato di crisi della loro Banca.  

Finché la donna sbotta: “Ma come è possibile che una Banca fallisca? Ma alla fine, cosa sarebbe una Banca? Come fa a fallire? Qui tutti rubano. Abbiamo partecipato a tante riunioni, ma non si capisce nulla”.

 “Signora”, ho risposto, cercando di dare un contributo, pur a digiuno di norme e glossario del sistema creditizio, “una banca è nient’altro che una iniziativa commerciale; e, come tutte le ditte di questo tipo, compra merce dai fornitori e, dopo averla eventualmente vestita, la rivende ai propri clienti”.

“Chi sono i fornitori?” continua la donna.

Ed io: “Sono i risparmiatori che depositano i loro soldi presso la Banca; e quei soldi vengono prestati o, come si dice, impiegati”.

La signora: “Allora i clienti sono quelli che chiedono un prestito o un mutuo”. 

“Esattamente”, le rispondo.

 “Allora”, continua lei, “che succede delle nostre azioni? Quei soldi versati per comprare azioni non sono quelli che la Banca presta? “.

“No di certo”, rispondo, “i soldi versati per le azioni vanno a costituire il capitale sociale, o patrimonio, che ha la funzione di posta a garanzia dei prestiti o impieghi, con un fattore di circa 1 a 12: cioè, con un patrimonio di 1 miliardo, posso prestare o impiegare fino a 12 miliardi”.  

Nel silenzio attento del marito, la signora continua: “Ho capito. La Banca paga i fornitori con un tasso d’interesse di deposito attivo e guadagna con il tasso d’interesse passivo pagato dai clienti.

Ma allora come fa una Banca a fallire? Come fanno le azioni a deprezzarsi?”.

Il marito si fa più attento. E io mi sono messo in un vicolo cieco.

Rispondo: “Come tutte le ditte commerciali, la Banche falliscono per due motivi essenziali. Il primo è che la merce rimane invenduta e, quindi, sarebbe necessario ampliare l’area di mercato e vendita; il secondo è che alcuni clienti non pagano e quindi quei crediti della banca si deteriorano perché appaiono non esigibili.

In questo ultimo caso, visto che il patrimonio è posto a garanzia dei prestiti o impieghi, la legge impone di costituire, con una parte del patrimonio, una posta a garanzia degli impieghi deteriorati. Quindi, quella parte di patrimonio non è più disponibile a garantire ulteriori impieghi”.

“Cioè?”, incalza la donna.

Ed io: “Ciò significa che il patrimonio disponibile per ulteriori impieghi diminuisce e, quando esso diventa insufficiente a garantire ulteriori impieghi, la Banca va in sofferenza perché non riesce più ad operare, cioè a vendere; non c’è più il citato rapporto 1 a 12, con la conseguenza che l’operatività si ferma e le azioni perdono valore”.

Il marito si agita visibilmente sulla poltrona, mentre la donna, più riflessiva, tace pensosa.

Poi aggiunge: “Ma allora è necessario ricostituire il patrimonio, così la Banca può ricominciare a funzionare! No? Bisogna mettere altri soldi. Lì, abbiamo tutti i nostri risparmi! Non sarebbe meglio togliersi di mezzo e vendere le azioni? Che ne sarà dei nostri depositi?”.

Mi sono imbarcato in una discussione con evidenti risvolti tecnici, in un campo che proprio non è il mio.

Ma rispondo: “Certo, signora, bisogna ricostituire il patrimonio.  Ma, mi viene da pensare che, se i numerosissimi azionisti della Banca decidessero di vendere le proprie azioni, magari trasformando prima la Banca in società per azioni, succederebbe che qualcuno se la compra con quattro soldi e gli azionisti certificherebbero definitivamente la loro perdita; inoltre essi sarebbero alla mercé di questo qualcuno, l’acquirente delle azioni, che imporrà il suo prezzo di acquisto delle azioni.

La Banca non sarebbe più degli azionisti attuali né pugliese né meridionale e andrebbe a finire nelle mani di qualche istituto, magari estero, che impiegherà i vostri depositi non più qui ma chissà dove, a sostegno di altre economie, non più quella meridionale.

Qui rimarrebbe solo la raccolta, da voi come fornitori.

Senza tener conto che i tassi d’interesse attivo di deposito potrebbero ulteriormente ridursi fino addirittura a diventare negativi per garantire maggior reddito al nuovo azionista che beneficerebbe anche del ritorno degli impieghi non deteriorati.

Senza, inoltre, tener conto che la valutazione dei crediti deteriorati è, appunto, una valutazione e non è detto che non rientrino, alla fine”.

Proseguo, preso dalla foga del mio libero ragionamento: “Infatti, facciamo un esempio: se l’iniezione di capitale, necessaria per la ricostituzione del capitale e rientrare nella legge, fosse di 1 miliardo di euro, il nuovo azionista, con quell’importo, acquista una impresa che denuncia crediti verso i clienti di circa 12 miliardi di euro. Con quattro soldi il nuovo azionista si compra tutta la Banca, nel nostro caso la Popolare di Bari e, anche, un patrimonio d’impieghi di circa 12 miliardi di euro, la cui destinazione sono, ora, le tasche del nuovo azionista.

I vecchi azionisti accuserebbero due perdite: la prima legata alla diminuzione del valore delle azioni, la seconda perché vengono privati dei rientri degli impieghi.”.

Continuo: “Mi pare proprio un bell’affare per il nuovo azionista!”.

La donna controbatte: “Allora, sarebbe meglio evitare la trasformazione della Banca in società per azioni e cercare qualcuno che possa investire per consentire alla Banca d’operare, no?”. E aggiunge: “E cambiare gli amministratori”.

Non ho risposto.

Qui cala il silenzio. La coppia è assorta nei propri pensieri: risparmi di una vita sui quali essa non ha più il controllo.

Questo dialogo mostra, quanto e come i risparmiatori siano generalmente all’oscuro del funzionamento di una Banca e di quanta fiducia abbiano riposto in essa senza, peraltro, essersi fatti delle domande; giustifica la cocente delusione che segue false certezze; ma soprattutto indica la fame di conoscenza, quando la crisi incombe, perché toccati nei risparmi di una vita che credevano al sicuro.

 

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