di Pasqualina Stani
Rievocare un’esperienza drammatica riporta alla memoria impressioni vivide di quei momenti, come se fossero appena accaduti. Dipende dal modo in cui il cervello codifica quelle esperienze, e da come il corpo risponde al pericolo. Gran parte delle cose di cui facciamo esperienza non lascia traccia, nella memoria: imparare nuove informazioni richiede impegno fatica e molte ripetizioni. Eppure, dimenticare esperienze particolarmente drammatiche ci risulta estremamente difficile, se non impossibile. I ricordi legati a incidenti, violenze, grandi spaventi, lutti o separazioni possono perseguitarci come fantasmi.La risposta, è da cercare nelle neuroscienze. Occorre partire dal modo in cui il corpo reagisce alle minacce.
Quando ci si trova in una situazione di pericolo, l’organismo sviluppa una serie di reazioni automatiche. Il battito cardiaco accelera e le arterie si restringono, pompando più sangue verso i muscoli che restano tesi e disposti alla fuga. Aumenta la sudorazione, soprattutto ai piedi e sul palmo delle mani, per accrescere le nostre capacità di afferrare una presa e metterci in salvo. In alcune occasioni, ci si congela, incapaci di muoversi. La presa di coscienza del pericolo innesca una seconda serie di risposte. I sensi si acuiscono e i pensieri si rincorrono veloci, alla ricerca di soluzioni o, al contrario, in una totale perdita di lucidità. Il respiro si fa affannoso, la testa gira. Queste istantanee reazioni di difesa sono controllate da un sistema neurale molto antico, che abbiamo ereditato dai nostri antenati. In particolare, dall’amigdala, un gruppo di strutture situate in profondità in entrambi i lobi temporali mediali del cervello. Essa analizza le informazioni sensoriali connesse al pericolo e invia segnali ad altre parti del cervello, come l’ipotalamo, che rilascia gli ormoni dello stress che controllano, per esempio, il livello di allerta.
Le ricerche scientifiche effettuate finora suggeriscono ci siano due strade attraverso cui i segnali sensoriali raggiungono l’amigdala. La via bassa è un percorso diretto dal talamo (una struttura implicata nella percezione sensoriale e nelle emozioni) direttamente all’amigdala, attraverso una rapida scorciatoia che non prevede passaggi nella corteccia (lo strato del cervello deputato alle funzioni cognitive più complesse). Questo circuito ha come esito una risposta immediata, non conscia, al pericolo, e spiega perché talvolta si reagisca a una minaccia ancora prima di rendersene conto. La via alta passa attraverso le aree sensoriali della corteccia e fornisce all’amigdala un quadro più dettagliato del pericolo. Quando sentiamo un boato, per esempio, probabilmente ci immobilizziamo ancor prima di aver capito di che si tratta (via bassa); se vediamo qualcuno con una pistola, il nostro cervello lascia tracce incancellabili. Su questo articolato meccanismo si strutturano i ricordi. Quelli legati a un’esperienza traumatica sono di due tipi, espliciti ed impliciti (o inconsci). Questi ultimi sono, appunto, indelebili, soprattutto quando prendono la forma di condizionamento. Derivano da un’associazione tra uno stimolo di norma considerato neutro e uno stimolo pericoloso o doloroso, che attiva una immediata risposta difensiva: nel cervello, si forma una forte associazione tra lo stimolo neutro e la risposta “di allerta”. Un po’ come il celebre cane di Pavlov che prende a salivare quando sente la campanella, solo che in questo caso, la risposta sollecitata ci pone in una situazione di allarme, terrore, disagio.
L’amigdala ha un ruolo cruciale nel formare queste associazioni, che gli ormoni dello stress come il cortisolo e la norepinefrina rafforzano. Si pensa che i ricordi traumatici siano una sorta di risposta condizionata al pericolo. In una persona sopravvissuta a un brutto incidente in bicicletta, i fari di un camion simile a quelli visti poco prima dell’impatto possono innescare tachicardia, sudorazione e reazioni incontrollate alla guida. Queste risposte si presentano puntuali anche senza una rievocazione conscia dell’esperienza traumatica. I ricordi espliciti sono invece codificati da diverse aree cerebrali che ne hanno analizzato aspetti differenti. Quando li riportiamo alla mente, la narrazione può riflettere il terrore dell’esperienza originaria e risultare altrettanto disorganizzata e frammentata; assai meno lineare di quella di una traccia acquisita in condizioni meno stressanti.
Anche se a volte non si considerano tali, i ricordi sono fenomeni biologici e come tali sono dinamici e suscettibili di cambiamenti. Riportarli alla mente attiva i circuiti neurali in cui sono custoditi: l’attivazione elettrica delle sinapsi e alcuni processi intracellulari rendono questi ricordi suscettibili a modifiche. L’esperienza originaria può deformarsi o sporcarsi di alcuni nuovi particolari dipendenti dal contesto in cui si rievoca. Inoltre, gli ormoni dello stress rilasciati nell’esperienza del rievocare (per esempio, in un’aula di tribunale) agiscono consolidando il ricordo originale. Queste stesse caratteristiche possono essere sfruttate sul piano clinico: rievocare un ricordo traumatico in condizioni “sicure” con bassi livelli di stress aiuta ad aggiornare i dettagli di quell’esperienza e a riorganizzarne le fasi. Diminuendone l’impatto distruttivo.