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Un’Europa più democratica e rappresentativa con un occhio di riguardo verso i giovani.

L’insufficiente senso di appartenenza e il deficit di partecipazione dei cittadini sono probabilmente i nostri mali più gravi connessi alla vita politica, un po’ perché sono i più difficili da curare e un po’ perché il loro superamento condiziona l’efficacia della cura degli altri. Il dato sull’astensionismo registrato a margine delle ultime politiche è una spia del malessere dei cittadini nei confronti del nostro sistema politico. Ma anche in Europa.

Il nostro legame verso il Paese dunque è molto scarso. Lo desumiamo facilmente da tante cose, che sono molto più di semplici indizi. Cosa dire del disprezzo della gente per la politica? Se si guardano le cose in superfice, è un sentimento comprensibile. Le ultime esperienze politiche sono state segnate spesso da assenza di competenze, scarsa preparazione e mancanza di visione a lungo raggio. “L’uno vale uno” ha poi di fatto rappresentato il culmine di un pressapochismo estremo che ha minato ulteriormente le istituzioni.

Tuttavia i cittadini dovrebbero comprendere che della – buona – politica non si può fare a meno, sicché, occorre adoperarsi per farla funzionare bene. Non ha alcun senso demonizzarla per il solo fatto che alcuni che vi sono impegnati si comportano molto male o sono palesemente inadeguati. Così facendo si aggravano sempre più le cose, perché per forza d’inerzia la politica non rinsavisce ma cade sempre più in basso. Gli scandali o gli errori che la investono, lungi dall’allontanarlo, dovrebbero avvicinare il cittadino alla politica con la speranza di migliorarla e, con essa, di migliorare anche la qualità della propria vita.

Oltre all’astensionismo, quello che colpisce è la serena rassegnazione con la quale molti giovani e giovanissimi si trasferiscono all’estero per completare i loro studi e poi decidono di rimanervi attratti da percorsi professionali più lineari, più prevedibili e meno rischiosi. Questo perché oltre a non aver fiducia nella politica vi è un’assenza di fiducia nel sistema Paese, inteso come mercato del lavoro e occasioni di crescita professionali.

In molti casi si tratta di giovani di qualità, la cui partenza – di là da qualche effetto immediato – impoverisce drammaticamente il nostro Paese e, alla lunga, lo condanna ad un impoverimento sociale e culturale specie in alcune parti del nostro meridione. Certo, se noi avessimo capacità di attrarre giovani stranieri di qualità, gli effetti sarebbero ben diversi, e il tutto rientrerebbe in una normale internazionalizzazione della nostra società. Ma purtroppo non è così.

Urge fare qualcosa. Sarebbe un errore liquidare la questione dicendo che è sempre stato così, che è un fatto di cultura su cui possiamo fare ben poco, che questa situazione rispecchia il carattere di noi italiani e così via. È chiaro che occorre molto tempo per cambiare un costume radicato, per costruire un senso della comunità che si è andato smarrendo.

La politica è necessaria e non possiamo sottrarci al dovere di darle, forme più adatte, il nostro contributo. Se vogliamo una società migliore, rendiamoci conto che dobbiamo fare tutti qualcosa in più per una nuova comunità e per farlo occorrono competenze e il desiderio di capire il mondo in cui viviamo. Il paese e la politica hanno bisogno di persone competenti e preparate. È illusorio pensare di farne a meno.

Dobbiamo cambiare atteggiamento nei loro confronti. Abbiamo bisogno di meno superficialità, di meno protagonismo e maggiore capacità di ideare, costruire, gestire e realizzare.

Le società moderne devono fronteggiare problemi ed eventi sempre più complessi che richiedono la riflessione e l’impegno di una classe dirigente allargata. Purtroppo i giovani non hanno molta fiducia nella politica e nelle istituzioni perché negli ultimi anni la politica non ha dimostrato di avere a cuore i loro interessi, il loro futuro. Le nuove generazioni sono diventate così l’oggetto escluso da una politica e una cultura nate e cresciute in un mondo parallelo all’universo giovanile.

Cosa si potrebbe fare per invertire la rotta?  Gli strumenti per offrire iniezioni di fiducia alle nuove generazioni ci sono. Ma è prima di tutto importante accogliere le loro richieste, non rendere inutile la loro discesa in campo. Il primo argomento da proporre ai giovani è quello del recupero del senso dello Stato e della comunità. Se si comprende l’importanza del proprio rapporto con gli altri e del proprio contributo all’interno della società, si può trovare ottimismo anche nell’approccio con il mondo della politica. Affermare che la politica è una cosa irrimediabilmente inutile non cambierà niente: si deve invece reagire e fare uno sforzo per penetrare in certi ambienti senza mai lasciare a casa i propri valori e ideali.

I giovani devono interessarsi alla politica per cambiarla e migliorarla, con competenza e serietà. Solo così potremo dar vita ad una nuova classe dirigente preparata e competente con uno sguardo a Bruxelles.

Sono circa 359 milioni gli aventi diritto di voto che tra il 6 e il 9 giugno potranno recarsi alle urne per scegliere come indirizzare il futuro dell’Unione. Di questi, secondo Eurostat, più di 23 milioni parteciperanno alla loro prima votazione europea.

Alle ultime elezioni, nel 2019, erano stati il 50,66 per cento gli aventi diritto a presentarsi ai seggi. Un numero in aumento, più di 8 punti rispetto alla tornata elettorale precedente, stabilendo addirittura il picco di partecipazione dal 1994. Nel 2019 erano stati proprio i giovani a trainare l’affluenza: +14 per cento tra gli under 25 e +12 tra i 25-39 anni rispetto al 2014. L’obiettivo, e la speranza, è che il trend di partecipazione si confermi in crescita anche nel 2024. In questo il voto giovanile avrà un ruolo fondamentale.

Per avvicinare maggiormente i ragazzi alle istituzioni cinque Paesi hanno abbassato l’età per poter votare alle elezioni europee: 16 anni per Austria, Germania, Belgio e Malta 17 per la Grecia. Nonostante questo nel 2019 sono stati eletti solo sei deputati di età inferiore ai 30 anni. Il numero ridotto di parlamentari giovani è in parte attribuibile all’età minima necessaria per essere eletti: 21 anni in 9 Stati, 23 anni in Romania e 25 in Grecia e Italia. Abbassare l’età di voto è la battaglia di Maria Rodriguez Alcazar, presidentessa del Forum europeo della gioventù, secondo il quale: “Quando i giovani iniziano a votare in giovane età, hanno maggiori probabilità di votare in seguito” evidenziando così l’importanza di avvicinare da subito politica e ragazzi.

Nell’ultimo decennio si è prepotentemente affermata all’interno dell’opinione pubblica la convinzione per cui le democrazie nel mondo siano entrate in una fase di crisi. Questa crisi sembra principalmente dovuta alla perdita, o alla mancanza assoluta, della fiducia che gli attori dell’arena politica sono in grado di ottenere da parte della società civile, e al contempo alla mancanza di interesse e di partecipazione alla cura della cosa pubblica da parte della cittadinanza.

Ad essere in crisi con le istituzioni sono anche i valori fondanti la civiltà democratica, minacciati dall’affermazione sullo scenario globale di preoccupanti alternative autoritarie (Cina, Russia) o illiberali (Turchia) e leader nazionalisti che si contrappongono radicalmente al sistema multilaterale di governance globale (Trump, Bolsonaro, Erdogan, ecc.) fornendo come modello di riferimento un preoccupante nazionalismo competitivo e xenofobo. Anche in Europa il sistema di valori e principi fondanti della stessa Unione viene continuamente messo in discussione: il rispetto dello Stato di diritto, delle libertà fondamentali, dei diritti umani, civili e sociali, la preminenza del diritto comunitario su quello nazionale.

Prive di vincoli e controlli.

È fondamentale che l’Unione Europea riaffermi solennemente gli impegni nei confronti dei suoi cittadini, soprattutto dopo il compromesso al ribasso sul rispetto dello stato di diritto approvato per il finanziamento del Next Generation EU, e rafforzi le politiche volte a promuovere i diritti umani all’interno e all’esterno dell’Unione secondo quanto previsto dalla Carta di Nizza: “Per far fronte ai cambiamenti della società, nonché agli sviluppi sociali, scientifici e tecnologici, l’UE ha deciso di riunire in un unico documento tutti i diritti personali, civili, politici, economici e sociali dei suoi cittadini”. È inoltre fondamentale, anche alla luce delle affermazioni della Corte Costituzionale polacca in merito all’incompatibilità del diritto europeo con la costituzione nazionale, che l’Unione europea si doti di efficaci e credibili meccanismi sanzionatori nei confronti dei Paesi che violano manifestamente i Trattati o che non ne riconoscono la validità.

Con la speranza che abita nei cuori dei giovani, Siamo tutti chiamati a ridestare il sogno europeo. Attraverso l’esercizio del diritto-dovere del voto rimane una esplicita espressione del nostro impegno e della nostra cura per la “casa comune” europea. Per questo l’8 e 9 giugno ci sentiamo chiamati e invitiamo a partecipare alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo per concretizzare il sogno dei padri fondatori.

Pino Presicci – Membro della Scuola Politica “Vivere nella Comunità” – Roma

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