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Dal “carbone” e “acciaio” al “verde” e “blu”: 74 anni di integrazione europea

Markus Krienke

Il 9 maggio 1950 Robert Schuman, il ministro francese degli esteri, pronunciò nel Salon de l’Horloge del ministero sul Quai d’Orsay il suo più famoso discorso che per l’immediata adesione del cancelliere tedesco Konrad Adenauer e del primo ministro italiano Alcide De Gasperi sarebbe diventato il momento iniziale dell’integrazione europea: «l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme: essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».

Una solidarietà di fatto, cioè un’affidabilità tra nazioni che si sono scontrate in due guerre mondiali, poteva realizzarsi soltanto tramite un progetto politico nuovo che non contrapponeva più “vincitori” e “vinti” in Europa, ma li coinvolgeva insieme su un livello che superava la logica degli Stati nazione. In un preciso settore strategico della politica d’allora, centrale per l’industria e il militare, come era la produzione del carbone e dell’acciaio, i sei Paesi fondatori della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) cedettero parzialmente la loro sovranità nazionale per gestire tale settore insieme a un nuovo livello sovranazionale. Quando la CECA divenne realtà due anni dopo, essa conteneva la struttura politica della futura Unione Europea già in nuce: Alta autorità, Consiglio speciale dei ministri, Assemblea comune, Corte di giustizia.

Il principio sul quale i “padri fondatori” Schuman, Adenauer e De Gasperi convenivano, era quello della sussidiarietà che permetteva loro di concepire l’unione tra Stati come processo continuo di coesione e integrazione sovranazionale in grado di garantire non solo la pace, ma anche il quadro istituzionale per affrontare le sfide del futuro. Tale processo, nonostante frequenti momenti di fermo e passi indietro, non si è mai arenato e ha visto un ultimo avanzamento nel primo anno della pandemia con il programma Next Generation EU con il quale l’Unione ha messo a disposizione, accanto ai 1,1 mila miliardi del Quadro finanziario pluriennale e molti altri programmi finanziari rinnovati o creati, 750 miliardi di nuovi fondi per coordinare non più il carbone e l’acciaio, ma il verde e il blu, vale a dire la transizione ecologica e digitale in Europa.

Ursula von der Leyen aveva parlato, in tale occasione, del momento Hamilton per l’Europa, ricordando uno dei “padri fondatori” degli Stati Uniti grazie al quale prevalse l’unione federalista su quella confederale. Sarebbe stato meglio chiamarlo secondo momento Schuman in quanto si trattava di un ulteriore passo della realizzazione della “solidarietà di fatto” nell’affrontare in comune un campo strategico per le politiche del continente. Con gli impegni per l’Ucraina e con le elezioni americane all’orizzonte, tale esigenza di approfondire l’UE è cresciuta ulteriormente. In questa situazione, la popolazione in Europa sembra aver ben compreso l’importanza delle elezioni dell’8-9 giugno: secondo l’ultimo sondaggio Eurobarometro del Parlamento Europeo, l’81% degli Europei ha affermato, attraverso più di 26 mila interviste svolte tra febbraio e marzo di quest’anno, la consapevolezza che questa volta andare a votare è di particolare rilevanza. Di fronte a questo scenario, che in altre nazioni dell’Europa si traduce in un dibattito sui contenuti della futura politica europea, si resta perplessi registrando che la campagna elettorale in Italia finora si è articolata poco sui contenuti e sulle visioni per l’Unione. Nella giornata di oggi si conviene ricordare ai partiti italiani che l’impegno per l’Europa – per il principio di sussidiarietà – si traduce in effetti positivi per la politica nazionale. Una campagna elettorale europea potrebbe essere, difatti, l’occasione per informare di questo nesso del funzionamento dell’UE. E, come dimostra il recente sondaggio, i cittadini lo apprezzerebbero: rimane ancora un mese di tempo per cogliere questa campagna elettorale come un’occasione per l’Europa, ossia per tutti noi.

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