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L’eredità di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Il ricordo indelebile di forza, coraggio e giustizia nella lotta continua contro la mafia.

IO NON C’ERO” è un testo che richiama alle stragi di Capaci e Via D’Amelio, in cui furono uccisi i Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

A quasi 32 anni dalla tragedia, il testo si interroga su quanto i giovani di oggi conoscano su questi due grandi magistrati italiani che hanno svolto un ruolo fondamentale nella lotta contro la mafia in Sicilia negli anni ’80 e ’90.

Falcone e Borsellino sono state figure chiave nella lotta alla criminalità organizzata, attraverso il loro lavoro coraggioso e determinato, riuscirono ad infliggere duri colpi alla mafia, portando alla luce i suoi meccanismi e le sue connessioni con il potere politico. Purtroppo, il loro impegno li portò a pagare il prezzo più alto, venendo uccisi in attentati dinamitardi organizzati dalla mafia nel 1992.

Le vite di Falcone e Borsellino, furono strettamente intrecciate sin dai primi anni. Nati entrambi a Palermo, in un quartiere prestigioso, i due amici trascorrevano il tempo insieme sin dall’infanzia, giocando nella piazza della Magione.

Giovanni era un ragazzo serio e austero, cresciuto in una famiglia rigida dove il successo era la norma e ogni voto al di sotto della perfezione era considerato un fallimento. Paolo, invece, proveniva da una famiglia più vivace e aperta, con una farmacia di famiglia che conferiva prestigio al padre e rendeva la famiglia rispettata nel quartiere.

Entrambi manifestavano fin da giovani valori di onestà, impegno e giustizia, valori che li avrebbero guidati lungo le loro carriere nel mondo della giustizia italiana.

Frequentarono entrambi il liceo classico, ma il loro percorso fu diverso. Giovanni, dopo la maturità, si iscrisse all’Accademia militare di Livorno, ma in seguito decise di cambiare corso iscrivendosi alla facoltà di Giurisprudenza.

Paolo, invece, scelse di studiare Legge sin da subito e nonostante le difficoltà economiche della sua famiglia, si laureò brillantemente a soli 22 anni.

Anche Falcone, raggiunse successi accademici notevoli, laureandosi con il massimo dei voti. Successivamente, incontrò Rita, con cui si sposò dopo un breve periodo di innamoramento. Dopo aver lavorato come pretore a Lentini e poi a Trapani per 12 anni, Falcone iniziò a combattere attivamente la mafia, distaccandosi completamente dalla famiglia e dedicandosi a varie attività sociali. Nonostante il pericolo legato alla sua lotta contro la criminalità organizzata, Falcone trovò il tempo anche per sostenere il referendum sul divorzio.

Nel frattempo, Paolo iniziò la sua carriera come uditore giudiziario al Tribunale civile di Enna. Con il passare degli anni, ottenne incarichi sempre più importanti, fino a diventare pretore a Mazara del Vallo e sposare Agnese Piraino Leto. Successivamente, fu trasferito a Monreale, dove collaborò con il Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, ucciso dalla mafia nel 1980. Da quel momento, iniziò a investigare sull’omicidio.

Nel frattempo, Giovanni Falcone si trasferì a Palermo e lì lavorò al processo al costruttore Rosario Spatola, accusato di associazione mafiosa. Fu così che i due amici ripresero a scambiarsi informazioni sulle inchieste. Il processo Spatola mise in evidenza le abilità investigative di Falcone, che introdusse nuovi metodi di indagine efficaci.

Falcone capì che per smantellare Cosa Nostra bisognava colpirla al portafoglio, seguendo i flussi di denaro e i patrimoni illeciti accumulati dai boss mafiosi ma non solo, fu pioniere nell’utilizzare i pentiti, come Tommaso Buscetta, per ottenere informazioni preziose sulla struttura e meccanismi interni di Cosa Nostra.

Grazie a questi metodi rivoluzionari, Falcone riuscì a ottenere condanne storiche nel Maxiprocesso di Palermo, ponendo fine alla lunga serie di assoluzioni che avevano caratterizzato i processi di mafia in passato.

La situazione a Palermo divenne sempre più pericolosa, con una guerra di mafia che causò molte vittime. Si scoprì che dietro gli omicidi c’erano i “viddani” di Corleone, guidati da Totò Riina, violenza mafiosa che si rivolse anche contro lo Stato, con gli omicidi di Pio La Torre e del Generale Dalla Chiesa.

In questo contesto di violenza, Falcone e Caponnetto decisero di creare un pool di magistrati, forze dell’ordine e criminologi, creando un pool antimafia altamente specializzato per combattere la mafia in modo coordinato. Grazie alle confessioni del pentito Tommaso Buscetta, il pool riuscì a spiccare 366 mandati di arresto.

Tuttavia, la situazione politica e le pressioni interne al pool portarono alla fine della collaborazione tra Falcone, Borsellino e Caponnetto. Falcone fu messo da parte e si trasferì a Roma, continuando la sua lotta contro la mafia.

La vendetta di Totò Riina non si fece attendere, con la strage di Capaci che uccise Falcone, la moglie e tre uomini della scorta il 23 maggio. Borsellino, devastato dalla morte dell’amico, continuò a lavorare freneticamente fino alla sua stessa tragica fine con la strage di via D’Amelio a Palermo il 19 luglio.

Nonostante le grandi perdite, la lotta continua. La memoria di Falcone e Borsellino vive attraverso il racconto delle loro gesta e della loro coraggiosa battaglia contro la mafia, le cui idee e metodi investigativi continuano ad ispirare i magistrati e le forze dell’ordine impegnate in questa battaglia.

 

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