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Cassazione : annullata sentenza di condanna di ex sindaco di Margherita di Savoia

La sesta sezione penale della Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza della III sezione della Corte di Appello di Bari che , dopo l’assoluzione in primo grado, aveva condannato Salvatore Camporeale, ex sindaco di Margherita di Savoia , e Giuseppe Barra, suo vice dell’epoca, a nove e a quattro anni di reclusione per fatti di concussione e peculato.

“Dopo 17 anni si chiude definitivamente una vicenda kafkiana , partita con gli arresti annullati dal tribunale del riesame per mancanza di indizi, proseguita con la sentenza di assoluzione in primo grado, continuata con la incredibile sentenza di condanna in appello , a cui, conclusivamente ,la Cassazione ha posto radicale rimedio , annullandola addirittura senza rinvio e così definitivamente. Alla soddisfazione professionale , si accompagna però lo sgomento per il lungo trauma subito dai cittadini , per quanto statuito dalla Suprema Corte ,inutilmente imputati .” Così gli avvocati Roberto Eustachio Sisto, Fabio de Feo, Nicola De Fuoco, Roberto Di Marzo e Piervito Castiglione Minischetti, tutti dello “studio FPS”, difensori a vario titolo degli imputati assolti .

La vicenda:

La Suprema Corte di Cassazione, sesta sezione penale, alla pubblica udienza del 17 aprile 2024 ha annullato senza rinvio la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Bari del 24 febbraio 2023 nei confronti di Camporeale Salvatore e Barra Giuseppe, condannati rispettivamente alla pena di anni nove e anni quattro di reclusione per I reati di peculato e concussione. Ai due imputati, all’epoca dei fatti rispettivamente Sindaco e Vice Sindaco con delega all’ambiente e urbanistica del Comune di Margherita di Savoia, erano contestati a vario titolo plurime condotte concussive e peculato, di seguito a denunce sporte da imprenditori locali, in particolare da Francesco Valerio, che lamentava ( capo a della imputazione ) il blocco del pagamento relativo ad uno stato avanzamento lavori del comune da parte del Sindaco, se non avesse provveduto- dietro minaccia- al pagamento di alcuni affitti della sede del suo partito, nonchè a consegnargli somme di denaro per la campagna elettorale e per acquisto di indumenti firmati; od ancora ( capo b della imputazione ), perchè, entrambi gli imputati avrebbero nelle rispettive qualità posto in essere condotte costrittive e/o comunque induttive nel confronti dello stesso Valerio, al fine di farsi consegnare la somma di euro ventimila per rendere edificabile un terreno di famiglia sito nel centro di Margherita di Savoia. Venivano, altresì, mosse ulteriori condotte concussive, in particolare, al Camporeale ( capo g), consistite nel constringere e/o indurre tale Nicolino Rossi, titolare dell’omonima impresa termo-idraulica, ad effettuare gratuitamente interventi di riparazione nella abitazione del Sindaco, rappresentando, quest’ultimo che, in caso di rifiuto, non avrebbe sistemato I pagamenti che il Rossi vantava  dal Comune. Quanto al capo c), al Camporeale e Barra si contestava il delitto di peculato, perchè ponevano in essere condotte finalizzate ad appropriarsi di numerosi quantitativi di carburante dalla società Aspica s.r.l., affidataria del pubblico servizio di nettezza urbana del comune.

Di seguito a tali contestazoni, il Camporeale e il Barra venivano tratti in arresto, ma il Tribunale del Riesame di Bari annullava la ordinanza custodiale per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Successivamente, il Tribunale di Foggia, dopo ampia istruttoria dibattimentale, certificava l’infondatezza di tutte le accuse, assolvendo gli imputati per insussistenza del fatto. Di seguito ad impugnazione della sentenza di primo grado da parte dell’Ufficio del Pubblico Ministero, la Corte di Appello di Bari riformava la pronuncia assolutoria, così condannando pesantemente I predetti, con l’applicazione delle conseguenti pene accessorie.

La Corte di Cassazione, adita con rituale impugnazione nell’interesse degli imputati, ha accolto le puntuali argomentazioni difensive, annullando senza rinvio la sentenza della Corte barese.

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