Principale Ambiente, Natura & Salute Agroalimentare & Enogastronomia L’orgoglio degli agricoltori. Ultimo baluardo di una civilta’ millenaria

L’orgoglio degli agricoltori. Ultimo baluardo di una civilta’ millenaria

di Rosanna Impenna

“La ribellione del ‘popolo di Seattle’ è stata soprattutto questo: il rifiuto di vedersi imporre la “globalizzazione” dei valori, dei costumi, dei mercati. Il rifiuto di diventare uguali. Uguali al modello proposto dai Governanti: bambini cui si concede di mangiare, purché mangino asparagi e carote del colore e della forma stabilita da Bruxelles; salsicce e patatine purché siano quelle di McDonald’s; grano e pomodori purché siano quelli transgenici che eliminano la concorrenza di tutti i produttori piccoli e medi. Bambini di cui si è presa in mano la vita e la morte attraverso la fecondazione in vitro, la rottura della barriera fra le Specie e fra gli individui con la manipolazione del DNA”.

(Ida Magli “Contro l’Europa” – Bompiani – 1997)

Il nome del dio romano Saturno discendeva dal “Satus”, l’atto di seminare, o dalle Sationes”, le sementi. Saturno era il dio legato alla terra anzi, ne era il Signore perché conosceva i segreti per renderla feconda. Il dio trovò ospitalità a Roma per nascondersi a Giove che lo aveva cacciato dal cielo per prenderne il posto e contraccambiò il dono da lui ricevuto insegnando il suo sapere “l’Agri-Cultura”, ossia l’arte di avere cura dei campi. Ogni buon Romano, nella giusta stagione e nel proprio appezzamento, per sempre, avrebbe così realizzato e ripetuto l’età feconda di Saturno. Insieme alla terra, l’agricoltore avrebbe coltivato sé stesso, seguendo l’esempio dei primi antenati nella pratica della “Iustitia”, della “Pudor” e della “Fides”, prima di tutto nei confronti degli dei immortali, poi degli altri esseri umani. Un Romano perbene, un vero Romano sarà sempre un agricoltore che manterrà la terra ricevuta dai padri con scrupolo e devozione per trasmetterla ai figli, a vantaggio non solo della sua famiglia, ma dell’intera città.

Come ricorda il Mito, fu Giano a rendere onore al dio della terra, coniando la prima moneta di bronzo che si chiamava “Nummus”, termine legato al concetto di “Numerus”, ciò che è conforme a legge e convenzione, a un ordine stabilito. Solo più tardi si chiameranno “Monetae”, dato che il conio avverrà sempre nell’area sacra di “Giunone Moneta”; Giunone che avvisa e fa ricordare (dal verbo “monere”). Il “Nummus” è lo strumento con il quale una città afferma la sua autorità in territorio straniero: far circolare una propria moneta significa infatti comunicare e richiamare alla memoria chi detiene il maggiore potere. In memoria di Saturno i Romani costruiranno “l’Aerarium”, il tesoro pubblico, proprio nel sottosuolo del tempio del dio, perché ogni metallo era considerato sostanza viva che lentamente cresceva nelle viscere della terra non diversamente dai semi. E come Saturno presiedeva al misterioso sviluppo delle sementi così era signore di quanto nasceva e si sviluppava nel sottosuolo. Per questo Giano nel rendere onore al dio della terra coniò la prima moneta di bronzo incidendovi la sua testa.

Il Mito è chiaro, sovranità alimentare e monetaria sono inscindibili, esse sono a fondamento di ogni Polis e connotano il senso di appartenenza ad essa tutti coloro che nel gesto sacro della semina trovano necessariamente nutrimento e ricchezza.

Tra gli anni ’60 e gli anni ’80 del Novecento l’Italia, ma più in generale i Paesi europei, avevano raggiunto l’indipendenza alimentare grazie a politiche fortemente interventiste e protezioniste da parte dei rispettivi Stati. Aumentò anche il fenomeno dell’agricoltura intensiva naturalmente, portando con sé quei discutibili sistemi produttivi che oggi stanno dando luogo a giudizi drastici e isterici che proclamano l’eliminazione dell’agricoltura e degli annessi allevamenti a favore di prodotti “coltivati” sinteticamente. Per un “cibo pulito”, ha sostenuto di recente Bill Gates; come se le sementi si “contaminassero” al contatto della terra.

Scopriamo però che in Europa i prodotti agricoli, come diverse altre merci, cominciarono a cambiare il proprio corso produttivo a partire dal 1992, anno dell’infausto Trattato di Maastricht a cui i governanti Italiani, come la gran parte di quelli europei vi apposero la firma rendendolo vincolante e normativo. Proprio nel ’92 infatti, in Italia e nelle altre Nazioni arriva una delle riforme più radicali e distruttive per i sistemi agricoli, la riforma dei P.A.C. ossia, le Politiche Comunitarie sull’Agricoltura; riforma pensata e fortemente voluta dallo statunitense Mac Sharry.

Tale riforma, o meglio sarebbe definirla vincolo coercitivo, sanciva il libero mercato agricolo, consentendo che prodotti provenienti dall’estero “invadessero” il mercato europeo. Ma gli “standard” di produzione dei Paesi degli altri Continenti non erano affatto analoghi ai “nostri” in quanto paradossalmente, nel medesimo periodo in Europa, per volontà di Bruxelles i vincoli per la produzione agricola cominciavano a diventare sempre più stringenti per il rispetto del territorio e per i parametri inerenti alla qualità. Così, mentre le merci europee si stavano avviando ad una produzione rigidamente controllata e per forza di cose più costosa per gli agricoltori, si aprivano le dighe del mercato mondiale. Anni di “deregolamentazione” in cui gli agricoltori viceversa, avrebbero dovuto essere più protetti e tutelati, grazie alla merce significativamente selettiva che iniziavano a produrre. Era perciò inevitabile che a differenza dei “nostri” prodotti, quelli “non certificati” che cominciavano ad arrivare sui mercati europei, da lì a breve li avrebbero sommersi con tutta la dolente violenza che oggi si palesa in modo chiarissimo ai nostri occhi. Come sempre accade, quando si pongono determinate premesse, non possono che seguire precise conseguenze, il dado era stato tratto e contemporaneamente alla riforma Mac Sharry, nasceva la grande distribuzione chiamata a fagocitare i piccoli e medi imprenditori agricoli, gli artigiani e le tantissime attività a conduzione familiare. Essa, usufruendo delle opportunità offerte dal libero mercato iniziato con la riforma del 1992, ha guidato e lautamente lucrato sui prodotti “non” europei, che la globalizzazione medesima cominciava a diffondere e legittimare.

Era soltanto l’inizio dei temuti doni che l’Unione Europea avrebbe elargito alle rispettive Nazioni impoverendole pian piano, in modo quasi invisibile. Nel 1991 era nato il Trattato Mercosur, grazie al quale alcuni Stati del Sudamerica come Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, abolivano i dazi doganali sulle esportazioni. Nel ’95 al medesimo Trattato si associavano la Bolivia e il Cile, il Perù nel 2003, la Colombia e l’Ecuador nel 2004, l’ultima, il Venezuela nel 2012. Attraverso l’abolizione dei dazi doganali tra i Paesi Sudamericani e l’istituzione di una tariffa doganale comune verso Paesi terzi nel 2019 si permetteva “finalmente” il libero scambio tra i Paesi aderenti al Mecosur e quelli dell’Unione Europea. Al Trattato furono aggiunte norme che prevedevano un ulteriore abbassamento dei dazi doganali ai Paesi extra Europei per meglio favorire la circolazione e la conquista di beni e merci nel nostro Continente.

Il Trattato Internazionale Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement, letteralmente “Accordo economico e commerciale globale) sanciva invece un accordo commerciale di libero scambio tra Canada e i Paesi dell’UE. I negoziati cominciarono nel 2009 per entrare in vigore nel 2017, anno a partire dal quale siamo stati definitivamente presi d’assalto dai prodotti canadesi, in particolare dal grano. Prodotto sottoposto alla chimica del Glifosato, un Amminoacido utile per una maturazione più veloce del cereale che il clima rigido e poco assolato del Canada non consente. Il Trattato è stato reso prescrittivo in quanto firmato dalla Commissione europea, neutralizzando così il valore della ratifica o meno dei singoli Stati. Sempre rispetto al grano nei paesi dell’Europa occidentale sta arrivando di recente quello dell’Ucraina sotto la forma di “Farina per sostenere la guerra”. L’Unione Europea ha ammesso che il grano ucraino è di “transito”, ma evidentemente nono è così, dato che la farina si trova già sugli scaffali dei nostri supermercati.

Le ragioni che muovono la protesta degli agricoltori a cui assistiamo in questi giorni vengono perciò da lontano. Le sensate lamentele che essi rivendicano maturano nei decenni passati, in modo silenzioso e impercettibile il sistema agricolo e dell’intero comparto alimentare nel nostro, come quello degli altri Paesi europei è stato gradualmente stravolto. Come sempre, senza accorgercene abbiamo permesso  che i lavoratoti del settore agricolo venissero pagati per rinunciare a lavorare i rispettivi terreni a favore di orribili distese di fotovoltaico altamente inquinanti per i terreni. Abbiamo permesso di equiparare i prodotti “certificati” ed eccellenti a una indistinta omologazione che le tiranniche leggi del Mondialismo hanno imposto per impoverirci e a vantaggio di gruppi economico-finanziari che gestiscono la filiera alimentare. Il traguardo della globalizzazione era quello di eliminare la specificità di particolari prodotti, squalificando il quali, merci tra di loro simili non devono più competere per la qualità. Il Continente artefice della laboriosa bellezza, delle eccellenze gastronomiche e del gusto è da decenni torturato nella sua identità. L’Unione Europea è servita a questo. Le decisioni prese da una Commissione non eletta dai cittadini, palesemente asservita a volontà “straniere” e pensata per distruggere le Nazioni d’Europa e i rispettivi popoli, sta portando avanti il “progetto” in modo esemplare. Ne saremo tutti complici se non fermaremo tutto questo.

Rosaria Impenna

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