Principale Ambiente, Natura & Salute Nucleare, caos sui 51 siti nazionali di stoccaggio scorie

Nucleare, caos sui 51 siti nazionali di stoccaggio scorie

Il dibattito politico sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia è stato riacceso dalla recente divulgazione del comunicato stampa sulle 51 aree di territorio nazionale destinate al loro stoccaggio, un annuncio del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che ha scatenato polemiche e critiche.

Localizzazione delle zone per gli scarti nucleari

I 51 spazi identificati come idonei, principalmente concentrati nelle regioni centro-meridionali, saranno destinati a ospitare sia l’infrastruttura del Deposito nazionale che il Parco tecnologico (un centri di ricerca). Il Lazio risulta il territorio più coinvolto, con 21 zone individuate nella provincia di Viterbo. A seguire ci sono la Basilicata e la Puglia, precisamente le città di Matera, Potenza, Bari e Taranto.

La Sardegna, già ben “infarinata” sull’argomento, sulla lista viene menzionata per otto volte, con siti inquadrati tra Oristano e la porzione meridionale dell’isola. In Piemonte, invece, sono state identificate cinque aree (tutte nella provincia di Alessandria), mentre due zone della provincia di Trapani coinvolgerebbero la Sicilia.

Sarebbe inoltre stata fatta salva, per quelle circoscrizioni rimaste “tagliate fuori” della Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI), anche la facoltà di comunicare autonomamente la propria eventuale disponibilità, purché la candidatura venga segnalata entro 30 giorni dalla diffusione del suddetto elenco.

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La gestione dei rifiuti radioattivi

Il piano di stoccaggio permanente degli scarti provenienti da impianti e laboratori medico-nucleari, nonché da industrie e hub di studio, verrà affidato alla società statale Sogin.

La spesa preventivata, per costruire e mettere in funzione – entro il 2029 – sia il Deposito nazionale che il Parco tecnologico, si aggirerebbe intorno ai 900 milioni di euro, con la previsione di smaltimento e delle scorie a bassa e bassissima attività (di provenienza nazionale) e di quelle a media e alta attività, inizialmente accettate (forse dall’estero) e destinate in un’apposita sezione temporanea del perimetro di contenimento, in attesa di un loro trasferimento definitivo altrove.

Il programma, tuttavia, sta sollevando una forte opposizione tra le gerenze locali, indipendentemente dalle fazioni politiche di appartenenza (il che ci fa riflettere sulla probabilità che, nella scala istituzionale, più “si scende” e migliori sono le figure che si incontrano).

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Critiche e reazioni a proposito delle aree prescelte

“Ribadiamo il nostro no all’individuazione in territorio lucano dei siti per i rifiuti radioattivi. La nostra posizione non cambia e non cambierà”, ha dichiarato l’assessore all’ambiente e all’energia della Regione Basilicata (di Fratelli d’Italia) Cosimo Latronico.

“No grazie, non vogliamo i depositi delle scorie in Sardegna”, ha poi affermato la deputata di Alleanza Verdi e Sinistra, Francesca Ghirra, mentre anche il presidente di Regione (vicino alla Lega), Christian Solinas,  ha esternato la propria contrarietà (il tutto quando, il 21 dicembre, è in programma un’assemblea per ribadire il secco “no sardo” in Consiglio regionale).

E anche i sindaci siciliani toccati sarebbero sul piede di guerra, mentre le zone principalmente coinvolte del viterbese sarebbero già in subbuglio.

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Pichetto Fratin calma tutti (o… forse no?)

In questo contesto il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha dichiarato: “[…]Secondo me è un nostro dovere individuare entro questa legislatura il sito per il deposito nazionale dei rifiuti nucleari. […]Abbiamo le cantine degli ospedali d’Italia con le scorie radioattive. In tutto il territorio italiano ci sono ospedali che producono ogni giorno scorie nucleari, da qualche parte dobbiamo metterle”. “Non possiamo mandare tutti gli italiani a far la PET in Francia!”, ha aggiunto il titolare del dicastero.

Attualmente questi prodotti di scarto sono contenuti in numerosi raccoglitori sparsi per la penisola, incluse alcune centrali nucleari funzionanti fino al 1990 (nelle zone di Vercelli, Piacenza, Latina e Caserta) che, però, non sarebbero strutture adatte anche allo smaltimento degli stessi.

La creazione del Deposito nazionale in Italia, a dire il vero, sarebbe stata imposta dalla direttiva UE 2011/70, la quale (nell’art. 4) prevede che la gestione ultima dei rifiuti nucleari avvenga nello Stato membro di generazione (e su questa delicata materia l’Italia ha anche beccato una procedura d’infrazione – l’ennesima che paghiamo (o pagheremo) e per la quale, guardandosi nello specchio, qualcuno ancora si domanda “chi ce l’ha fatta fare di infilarci in una condizione in cui, a casa nostra, o si fa come dicono gli altri o si pagano pesanti sanzioni, inflitte sempre da questi pressoché inutili soggetti? Forse che noi non avremmo saputo decidere autonomamente?!?” -.

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Fonti online:

ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Andrea Murgia del 15 dicembre 2023), sito istituzionale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), Rivista AIC (Associazione Italiana dei Costituzionalisti), sito dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), sito della Sogin, Deposito nazionale (sito a cura della Sogin), Wikipedia, sito istituzionale della Camera dei deputati, Viterbo Today, portale legislativo dell’Unione europea, ANSA;

Canali YouTube: Digitalproducers, Reportitalia24, Ricicla.tv.

Antonio Quarta

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

Il Corriere Nazionale

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