L’Italia non è una nazione morta, il popolo italiano non è gretto né ingenuo né stupido: lo dimostra il genio creativo italico pulsante nei secoli, vibrante non solo d’ardore artistico o letterario o scientifico espresso nella genialità dei poeti , nell’intelligenza politica e spirituale dei pensatori e scrittori o nelle meraviglie artistiche partorite da sangue italiano. Il popolo italiano ondeggia, periodicamente, tra il coraggio dei sentimenti e la speranza innanzi a qualcuno o qualcosa che possa lederne le ferite, curarne il malessere sociale che cosparge la penisola, incidere definitivamente sulla cattiva politica.
Se sei periodicamente chiamato, tu cittadino, ad eleggere persone e volti che non contribuiranno a migliorare la tua vita sociale(e di milioni di tuoi compatrioti) ma a mantenere uno status quo negativo e tu, cittadino, conosci questo infausto ingranaggio da decenni, allora il tuo uscir di casa, portar supinamente la scheda elettorale al seggio, esprimere un voto non è più un dovere civico ma un delitto, reiterato e stereotipato, che compi verso la tua stessa dignità di persona ma non solo: di contribuente, d’individuo capace di ragionare, volere. Un voto alla cattiva politica offende la capacità di chi ambisce al mutamento di ciò che Storia e contingenze politiche hanno dimostrato non solo fallimentare ma offensivo verso di lui, la sua nazione, il popolo che l’ha generato.
Così il popolo italiano è lontanissimo da chi elegge, isolato nel seno del suo solitario sforzo verso l’ingiustizia mentre i pallidi volti che ha contribuito ad eleggere divengono tristi maschere che hanno ricevuto e non daranno. Gli italiani non sono stupidi :sono stanchi, disillusi, indifferenti. Sono addormentati come statue erette tra i fragori di una piazza in un giorno di tempesta: esse vengono trascinate dalla forza dell’uragano, resistono, soffrono in silenzio e non possono gridare il loro gemito, spesso sorridono, talvolta no ma sperano. Quelle statue sono le migliaia di uomini e donne che, prima di ogni elezione, affollano piazze e sventolano bandiere. La politica italiana è gravemente malata, le sue metastasi sociali e istituzionali coinvolgono intere sacche di cittadini elettori; passano anni, decenni e il tumore si muta in morte: sociale, morale, economica. Poiché sarebbe folle o ingiusto esprimere affermazioni tanto perentorie e dolorose senza enucleare le ragioni che le hanno motivate occorrono concreti esempi che le corredino: esempi politici nati da un’ennesima illusione popolare. Primo tra tutti o last but not least: la parabola del M5S. 14 anni è l’arco temporale coperto da questo movimento mai divenuto partito. Dai primi 40 meetup “Amici di Beppe Grillo”(2005), celermente sviluppati su tutto il territorio nazionale per porre le basi di “…un Nuovo Rinascimento” alla nascita ufficiale del movimento passano 4 anni. Nel 2009 nasce il M5S affinchè il cittadino “prenda in mano il proprio destino”.
La sollecitazione dei sentimenti popolari umiliati, delle speranze offese dal berlusconismo, dalla sinistra, la movimentazione emozionale diretta (apparentemente) a sedare fasce sempre più dilaganti di rabbia sociale che – come qualche stupido ha pensato – era un intento nobile ed eroico di chi voleva trasformare l’Italia donandole la “Rinascita” si è dimostrata, in epilogo, uno dei più grandi scandali politici della storia repubblicana. Dalla sofferenza economica e dall’espressione dolente del cittadino, la movimentazione dei sentimenti crudi e vessati degli italiani è stata condotta sino ai trionfi e gli altari di Palazzo Chigi per una contingenza storico-sociale incorniciata nell’attesa salvifica di un cambiamento epocale senza precedenti. Occorre, non per dovere di cronaca ma di virtù, rilevare le tappe di quest’avventura politica per sigillarne vergogna e disonore quando, oggi, quella dolente contingenza di rabbia o silente prostrazione è più vivida che mai. Al di là di programmi e progetti senza concretezza, il M5S trionfa clamorosamente nelle politiche del 2013 con il 25,55 dei voti in Italia alla Camera per un totale di 8,7 milioni di voti eleggendo 109 deputati, affermandosi come la seconda lista in ordine di voti.
L’Italia ha dimostrato, allora, che la propria sete di riscatto non era un recesso di falsi miti racchiusi nelle menti di milioni di uomini indifferenti o contenti ma una verità nobilmente reale. 109 seggi conquistati in parlamento dietro il miraggio di redenzione civile dell’agitatore Grillo. Il fatto che quest’ultimo, allora, ieri, oggi si palesi come un comico non elude alcuna traccia da quest’avventura perché i comici possono intrattenere gli spettatori in tv, dimenarsi nei teatri per rallegrare il pubblico o girare ilari commedie d’intrattenimento al cinema ma un abile comico intrattenitore può trasformarsi, com’è avvenuto, in un abile agitatore. E il comico agitatore, unico condottiero dell’allora nascente movimento che conquistava le cabine elettorali, portò al primo trionfo alle politiche del 2013 e al secondo, grandioso e ancor più inaspettato, del 2018.
Ma il comico Grillo non è mai stato interessato alla politica, ultimo dei suoi interessi ora perdutosi nel suo passato, morto nel silenzio del suo partito. Finchè voleva conduceva e il movimento vinceva; quando disvolle dimenticò politica e illusioni indotte e fu l’inizio della fine e il principio della vergogna. Oltre a un vuoto di idee se non episodiche e dozzinali, il M5S ha portato nelle istituzioni il vuoto del pensiero, dell’intelligenza e della capacità di governare che adombra la correlata capacità di leadership. Ed ecco il nome di un soggetto salito sugli scranni del potere, Luigi Di Maio, ammirato dal fondatore Grillo con occhi radiosi e parole ieratiche :“Da di Maio io(Grillo) imparo anche quando egli sta zitto”ha più volte detto il comico.
Di Maio, definito dai colleghi pentastellati, nel 2015, “Leader del futuro”(!!!), ha preso le redini del movimento il 1° marzo 2018 e la creatura politica, generata dalle piazze inferocite e trascinate dal comico “prestato alla politica” ma abile agitatore, ha iniziato ad autodistruggersi. Guardiamo i numeri, i dati, veri testimoni e concreti messaggeri di questa vergogna: se il 25,55 del 2013 anticipò il 21,15 alle europee del 2014, il 2018 fu l’apogeo dei trionfi grazie al quale il movimento della falsa virtù avrebbe realmente (e obiettivamente) potuto trasformare il paese e condurlo verso quei lidi di felicità che Grillo aveva promesso al popolo nelle infreddolite piazze della “speranza di riscatto sociale” degli italiani, già da oltre 10 anni.
Di Maio, il pupillo di Grillo più coccolato, ha invece distrutto progressivamente quel movimento che gli ha dato fama immeritata, incarichi istituzionali prestigiosi ma, più di tutto, ha commesso l’errore di farlo leader di ciò che era divenuta la prima forza politica del paese, speme di milioni e milioni di italiani nelle piazze, innanzi alla tv, giubilanti alle porte dei Palazzi, ardenti di fede nel riscatto sociale e politico. Certamente non ci sarebbe stato, nel cerchio magico di Grillo, un leader più capace di usare quella macchina di consensi per mutare il dolore d’Italia ma la scelta di Di Maio, da parte di un agitatore prestato alla politica per ignote ragioni, è stato un insulto non solo a quella grande fortezza di consensi che il movimento è riuscito ad ottenere quasi miracolosamente, ma a tutti i singoli, uomini e donne, che con il loro voto hanno creato, di tale fortezza, le fondamenta. Ed è iniziato lo scandalo preludio alla vergogna, l’infrangersi del popolo illuso e pilotato non solo contro i privilegi di chi è entrato ingiustamente in parlamento solo perché scelto dall’agitatore, ma, più di tutto, perché quella scelta e tutte quelle inerenti i rappresentanti del movimento del “Nuovo Rinascimento” erano tremendamente sbagliate: non si affida una macchina dal motore Wartsila-Sulzer, il più potente, ad un gruppo di scialbi incapaci scelti per propria grazia divina che non sanno guidarlo quel motore ma possono solo schiantarsi e distruggere l’auto che li contiene.
Non si da il mandato di capo politico del più forte partito d’Italia, movimento nato dall’infatuazione del popolo, a chi non solo non ha competenze d’alcun tipo(fatto già gravissimo) ma è, politicamente parlando(e solo politicamente) un inetto la cui assoluta mancanza di leadership ha, mi ripeto, distrutto in meno di 5 anni il partito cui milioni di italiani hanno dato fiducia come gli apostoli la diedero a Gesù e i cavalieri della tavola rotonda ad Artù. E dal 2018 il movimento è progressivamente crollato perché gli italiani non sono stupidi ma addormentati, credono ma non agiscono, s’illudono ma quando si svela uno scandalo tacciono e si limitano a non siglare più, nelle cabine elettorali, una forza politica che sembrava messianica e che è stata usata per lanciare carriere, occupare poltrone, dare risalto a uomini che non lo meritavano.
Si guardino i fatti: il M5S nel 2018 raggiunge il 32,7 % dei consensi alla Camera e al Senato; non potevano governare da soli e hanno scelto la Lega Nord come primo alleato mentre, grazie alla leadership di Di Maio, già il movimento al governo calava nei consensi, giorno per giorno, stagione dopo stagione. Prova regina è il risultato alle europee del 2019: 17,07% di preferenze per un movimento che sembrava cavalcare la rinascita italiana. Dopo la caduta del primo governo Conte(20.08.2019) per ragioni mai del tutto decifrate, il tradimento supremo, la sintesi della natura dei rappresentanti del M5S e del suo cattivo leader Di Maio: l’alleanza con il PD, prima esecrato dai pentastellati come il peggiore dei mali italiani. Dal 32,7 % del 2018 passiamo alle regionali in Emilia-Romagna e in Calabria: Simone Benini per la prima, Francesco Aiello per la seconda. Il primo si ferma al 3,48% ed il M5S elegge solo 2 consiglieri regionali; Aiello non supera la soglia dell’8% e non vengono eletti consiglieri. Alle politiche del 2022 il M5S scende al 15,4% perdendo molto più della metà dei consensi principeschi del 2018. Alla sconfitta sensazionale del movimento si somma il tradimento più volte perpetrato verso illusi elettori e speranzosi attivisti: “mai alleanze con alcun partito” dicevano i pentastellati in principio.
E nel 2019 hanno stretto alleanza con il loro avversario storico, il PD. Il leader Di Maio ha mostrato tutta la sua impareggiabile capacità di fallire ma, se egli è uscito ingiustamente dal Parlamento con un lucroso assegno di fine mandato a seguito delle elezioni politiche del 2022, i pentastellati sono ancora in Parlamento, lucrano in esso, qualche italiano ancora li vota. La vergogna politica si congiunge idealmente con la dabbenaggine di molti, troppi italiani nel votare un movimento che, per le speranze suscitate e l’avventura politica vissuta, ha cangiato la propria natura passando da speranza popolare di riscatto a scandalo istituzionale poiché ha toccato l’organizzazione istituzionale dello Stato, già corrosa, per più di 10 anni. Cosa è stato dunque Grillo se non un procacciatore d’affari senza mandato per le carriere di tanti idioti? Cos’è stato il M5S se non una fucina di nullità politiche riflesse o incarnate nella leadership di Di Maio? Se Di Maio meritava di essere espulso a calci dal Movimento, altri suoi membri ne approfittavano: incapaci molto ma anche assai furbi a cavalcare il cavallo vincente di allora perché tali fortune passano una volta sola nel corso di una vita e forse neanche una.
Ahimè, il paragone con il motore Wartsila può essere accettabile solo in parte: chi guida un auto di tale potenza e si schianta, perisce con essa. Nel caso de quo, coinvolgente un movimento che ha raggiunto tali altezze nei consensi, chi si schianta è solo il popolo illuso e tradito non la gente che l’ha rappresentato e distrutto, frantumando simultaneamente i sogni del popolo stesso, emersi dal dolore sociale. Ribaltando una frase biblica del profeta Semeia, oggi il nuovo leader del M5S Giuseppe Conte potrebbe tranquillamente dire agli italiani “Voi non avete dimenticato noi ma noi abbiamo dimenticato voi”.Un paese dotato di un codice politico-deontologico scritto, severamente sanzionato, non avrebbe permesso tale vergogna ma questo è un discorso che affronta un tema ancor più delicato che non si tratterrà in questa sede. Il Fronte dell’Uomo Qualunque di Giannini, nel ’45, non conobbe la stessa gloriosa avventura del M5S e si fermò al 5,3% ma egli era certamente uomo di maggior virtù e onestà intellettuale.
Non sappiamo cosa avrebbe compiuto come capo politico del Movimento del “Nuovo Rinascimento” ma, per lo scrivente, se il destino non gli mise in mano una tale macchina di potere e consensi ciò non significa che Giannini non meriti più rispetto, nei suoi modesti risultati, di chi ha usato le istituzioni italiane in un’avventura tanto grandiosa ab origine quanto triste è stato il suo epilogo e ripugnanti i suoi rappresentanti “presi dal nulla”. Oggi il M5S, dopo l’alto tradimento e lo scandalo, vivrà di rendita, trasformismi e alleanze con il puledro migliore del momento proprio come i famigerati partiti della casta che doveva combattere. Vergogna!!
Yari Lepre Marrani