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Intervista a Lea Cosentino, manager combattente per “tutta la verità”

Lea Cosentino è un’avvocata e manager del Consorzio ASI di Lecce dal 2010. Ha ricoperto il ruolo di direttore generale dell’Asl di Altamura nel 2005,  è stata commissario straordinario dell’Asl di Bari nel 2007 e, successivamente, direttore generale della stessa fino al 30 giugno del 2009. Ha rivestito, inoltre, l’incarico di componente della commissione ministeriale Salute delle donne e per l’Assistenza Ospedaliera, di vicepresidente nazionale Federsanità Anci e di coordinatore regionale Federsanità Anci Puglia.

Una donna che intelligentemente e coraggiosamente ha condiviso  le proprie esperienze positive e negative, le proprie emozioni piacevoli e spiacevoli, mettendosi a nudo completamente.

Una carriera brillante, intensa, offuscata da due eventi che l’hanno travolta e stravolta.

Essere donne attraenti può rappresentare un problema in posizioni lavorative apicali?

Sicuramente essere donne può rappresentare un problema. Siamo ancora lontani dalla parità di genere e viviamo ancora in un contesto politico e sociale di misoginia.

Ho avuto modo di spiegare come, spesso, negli articoli di stampa che hanno riguardato la mia persona, mi si dipingeva come la “bella” manager…. Ma a voi è mai capitato di leggere di un uomo politico, di un manager come “bello”? Questo ritengo sia un sufficiente ed esaustiva risposta alla sua domanda.

La ricerca di un’Università americana dimostra che l’effetto “femme fatale” persiste: uomini e donne hanno un pregiudizio di fondo contro le manager avvenenti.

Tutto nasce da uno stereotipo che ci fa credere che la bellezza per una donna sia una delle chiavi per fare carriera. La nostra società è ancora intrisa, anche in contesti “culturalmente evoluti”, di stereotipi che ci condizionano, spesso in modo inconscio, impedendoci di concentrarci sulle competenze.

Certamente, gli stereotipi sono spesso soverchianti rispetto al merito, alla competenza ed anche la nostra società è intrisa di stereotipi e di luoghi comuni che nascondono pregiudizi e preconcetti, anche e soprattutto rispetto alle donne, che devono sempre e comunque lavorare di più e impegnarsi doppiamente per dimostrare di essere all’altezza del ruolo e di non avere nessuna deminutio rispetto agli uomini.

Pregiudizio che può essere smentito raccontando le innumerevoli storie di chi ha raggiunto il vertice con professionalità, impegno, sacrificio, merito.

Se si volta indietro e guarda come è stata sconvolta la sua vita, cosa rifarebbe e cosa non farebbe?

Sicuramente sarei più prudente, meno impulsiva. Perché la vita mi ha insegnato che, talvolta, sapere di essere nel giusto o di aver agito con coscienza, non ripaga e non ti rende sempre giustizia. La pazienza e l’estrema razionalità sono doti che ho acquisito col tempo e che prima non possedevo, pertanto, non rifarei mai scelte dettate dalle emozioni o dalla impazienza.

Lei ha recentemente pubblicato un libro intitolato “Lea Cosentino: tutta la verità” che racconta un pezzo cruciale della sua vita, ce ne parli.

È un libro impregnato di forti emozioni.

Nell’Opera “Il Barbiere di Siviglia”, musicata dal grande Gioachino Rossini, la calunnia viene paragonata, inizialmente, ad un leggero venticello che s’introduce prontamente, ma che lentamente prende forza nella testa della gente. Poi, piano piano, sottovoce viene paragonata ad un’ape che ronza nelle orecchie della pubblica opinione e inizia a radicarsi nelle menti delle persone. Successivamente la calunnia aumenta d’intensità e, man mano che prende vigore, acquista potere tanto che, al momento opportuno, esplode come un “colpo di cannone” o in una sorta di tempesta.

Nel libro racconto gli ultimi diciassette anni della mia vita, partendo dal 2005 anno di nomina da direttore generale dell’Asl di Altamura e successivamente dell’Asl di Bari, poi gli arresti domiciliari, le indagini, i processi, la malattia, le assoluzioni.

Un calvario giudiziario e personale vissuto in silenzio.

Scrivere è stato un sorta di rivisitazione di me stessa, della mia storia e dei miei ricordi, spesso dolorosi o conflittuali, ma pur sempre ricordi che costituiscono l’entità e l’intimità del proprio vissuto.

Quali insegnamenti ha tratto da questa vicenda giudiziaria?

Tanti….prima di tutto che la verità sostanziale non sempre coincide con quella processuale, che esiste il bene ma anche il male e che la cattiveria può materializzarsi anche e soprattutto negli esseri umani, attraverso azioni concrete che possono devastare un’intera esistenza. Che ci sono dei poteri che è ingenuo immaginare di combattere, a volte, bisogna avere la capacità e l’equilibrio di arrendersi e di saperlo fare. Ho anche compreso come accanto al male, esiste il bene e ci sono tante persone buone e capaci di guardare oltre, al di là della notizia, del gossip, della pruderie e che sanno comprendere l’essenza della vita e di una persona.

Giovanna Quarta

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