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Il reddito di cittadinanza,  secondo Giorgia. Cosa cambia col governo Meloni: lo scenario più realistico

I correttivi alla misura simbolo tanto cara ai grillini  ed al primo esecutivo Conte sono in tutto e per tutto un punto programmatico della nuova maggioranza di centrodestra che ha nettamente vinto le elezioni del 25 settembre Ci si chiede con insistenza petulante :cosa ne sarà del reddito di cittadinanza con il governo Meloni?. Spesso si avanzano critiche pretestuose e  demagogiche  senza conoscere bene  quali decisioni saranno prese dal governo  di Giorgia in merito e se queste misure vanno nella direzione di migliorare l’erogazione del reddito in  termini qualitativi e quantitativi.  L’idea che si fa spazio da settimane nel centrodestra, per recuperare risorse in vista di una delle leggi di bilancio più complesse della storia recente, sarebbe quella di portare ancor più giù l’asticella, togliendo il reddito di cittadinanza già al primo rifiuto di un’offerta di lavoro. Il 20% dei percettori di Rdc lavora con impieghi precari e poco retribuiti.

Due terzi sono disabili, minori, persone che non hanno mai lavorato. Non è una sorpresa che si vada verso un ripensamento del sistema di proposte di lavoro da accettare entro un determinato lasso di tempo, con requisiti più stringenti rispetto a ora. I correttivi alla misura simbolo del primo governo Conte sono in tutto e per tutto un punto programmatico della nuova maggioranza di centrodestra, che ha nettamente vinto le elezioni del 25 settembre. Non sarà abolita la misura, perché l’intenzione è quella di mantenere il reddito, ma principalmente come strumento di contrasto alla povertà. La fase attiva di ricerca lavoro non è mai decollata, e i dati Anpal in tal senso sono negativi: i beneficiari del reddito di cittadinanza indirizzati ai servizi per il lavoro e ancora in misura sono 920mila, di cui il 71,8% (660mila) è soggetto alla sottoscrizione del Patto per il lavoro e appena il 18,8% (173mila) è occupato. La quota restante si suddivide fra gli esonerati dagli obblighi di condizionalità (7,3%) e i rinviati ai servizi sociali (2,1%).

Ci sono state alcune correzioni, o meglio, tentativi di correzioni, nel corso del tempo. Basti pensare al primo Dl Aiuti, dove si stabiliva che l’offerta di lavoro (congrua) al beneficiario potesse arrivare anche direttamente da un datore di lavoro privato (a mo’ di chiamata diretta) e che l’eventuale rifiuto, che il datore è tenuto a comunicare al centro per l’impiego competente, diventasse impattante per la decadenza del beneficio. Ma i provvedimenti attuativi non si sono mai visti. La revisione del reddito di cittadinanza è uno di quei temi su cui Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi a grandi linee sono d’accordo: sono fortemente critici, e qualcuno in Fdi (La Russa) ha anche tratteggiato un percorso verso l’abolizione totale. Se ci sarà la sostituzione del reddito di cittadinanza con sussidi di altro tipo (impensabile lasciare anche solo per un mese senza un sostegno milioni di famiglie in povertà assoluta), la transizione sarebbe complessa e delicata, e non immediata.

Nessuna abolizione totale del sussidio dunque, slogan a parte, almeno per il 2023. Una delle ipotesi più realistiche per il futuro prossimo è quindi una modifica all’impianto del Rdc, grazie alla quale scatti la revoca del sussidio dopo il primo “no” a un’offerta di lavoro considerata congrua (attualmente al secondo rifiuto il sussidio viene revocato, in passato si doveva arrivare a tre dinieghi). L’importo medio erogato a livello nazionale è di 549 euro.”Anche nella fase Covid, il reddito di cittadinanza ha rappresentato una fonte di sostentamento per una fascia sempre più ampia di popolazione. I due terzi dei percettori poi, sono persone che sono inabili al lavoro o che non possono lavorare, persone che hanno comunque bisogno di un sostegno. Detto questo, io posso provocatoriamente dire che presenterò un disegno di legge, e lo farò firmare alle forze di maggioranza, in cui del Reddito di cittadinanza ne cambio il nome. Perché il vero problema di questo strumento è che lo abbiamo fatto noi del Movimento  5 Stelle e che si chiama così”. Lo afferma il già ministro delle politiche agricole Stefano Patuanelli (M5S) intervenendo a Cusano Italia Tv. “Diamogli un altro nome, se lo intestasse qualcun altro; però è innegabile che in questo Paese serve una misura di sostegno al reddito per chi non può lavorare, una misura di sostegno al reddito per chi perde il lavoro, e in quella fase in cui perde il lavoro deve essere riformato e reinserito nel mondo del lavoro, e serve un forte potenziamento dei centri per l’impiego: quei luoghi dove domanda e offerta di lavoro devono incrociarsi il più possibile.

Non soltanto nei lavori che ci sono, ma anche nel formare persone per andare a prendersi quei lavori che non sanno fare in questo momento e che attraverso adeguata formazione poi potranno svolgere (…). Tutte queste cose è il Reddito di cittadinanza”, conclude Patuanelli.

Giacomo Marcario

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