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Due anni dopo il ‘paziente 1’ che fine hanno fatto le inchieste sul Covid

Il nocciolo della questione è la difficoltà ad applicare il reato di ‘epidemia colposa’. Ma resta in piedi l’inchiesta di Bergamo che potrebbe invece andare avanti sulla mancata zona rossa e sul piano pandemico non aggiornato

© Nicola Marfisi / AGF
– Il pronto soccoso dell’Ospedale di Bergamo

AGI – A due anni dalla scoperta del ‘paziente 1’ a Codogno, la maggior parte delle inchieste su eventuali responsabilità per le morti di Covid vanno verso l’archiviazione o sono già state messe nel cassetto senza l’individuazione di possibili reati. Resta ancora aperta a tutte le possibilità, almeno sulla carta, la più importante, quella condotta dalla Procura di Bergamo che si muove su un triplice fronte: la provincia più colpita d’Italia, la Regione Lombardia e il Governo.

“Stiamo facendo il punto sull’enorme materiale acquisito, decine di migliaia di pagine” riferiscono all’AGI i magistrati guidati dal procuratore Antonio Chiappani che, in ogni caso, lasceranno una mastodontica eredità documentale sulla storia della pandemia, preziosa anche viste le difficoltà a procedere delle Commissioni d’inchieste politiche, sia a livello regionale che parlamentare.

Il reato quasi ‘impossibile’ di epidemia colposa

Il nocciolo della questione è che nelle indagini sulle morti nelle case di riposo e negli ospedali il reato ipotizzato è l’‘epidemia colposa’, quello più ovvio e l’unico, assieme all’ipotesi di omicidio colposo, che il codice penale sembrerebbe avere ‘ritagliato’ per una situazione eccezionale come questa. In realtà, inoltrandosi nelle pieghe di una giurisprudenza molto solida, si scopre che questo reato è molto difficile da applicare in concreto.

Una delle richieste di archiviazione che ha fatto più rumore è quella sulla storica casa di cura milanese ‘Pio Albergo Trivulzio’ a cui si è opposta l’associazione dei familiari delle vittime ‘Felicita’. I magistrati dell’accusa hanno evidenziato una certa “sottovalutazione iniziale” del rischio di contagio da parte dei dirigenti della struttura ma hanno scagionato su tutta la linea l’ex direttore generale, Giuseppe Calicchio, dalle ipotesi di  omicidio colposo, epidemia colposa e violazione delle regole sulla sicurezza.

Perché si archivia anche l”omicidio colposo’

Decine di archiviazioni sono arrivate in tutte Italia per altre rsa meno conosciute dove i livelli di mortalità si sono impennati nei primi mesi della pandemia, lasciando nella memoria il dolore di andarsene senza una carezza dei parenti, una delle immagini più crudeli dell’età del virus.

Il principio ‘fotocopia’ invocato dalla procure è che  il reato di ‘epidemia colposa’ non si configura se ‘non si fa qualcosa’ ma solo se si ‘fa qualcosa’ “per diffondere i  germi patogeni”. Difficile immaginare che un direttore di una casa di riposo o di un ospedale, un medico o un infermiere, abbiano un ruolo attivo nel diffondere il Covid. Più facile, in ipotesi, pensare che possano non avere protetto abbastanza pazienti e persone fragili attraverso misure di sicurezza più efficaci o con un’organizzazione carente in caso di emergenza.

Quanto all’’omicidio colposo’ la Procura di Como  spiega così perché non ‘valga’ in casi come questi: “Difficilmente appare dimostrabile una ‘colpa di organizzazione’ da parte della struttura perché il decesso non può essere direttamente correlabile con certezza assoluta al virus, in ragione delle preesistenti condizioni di decadimento dovute all’età e di salute; la compresenza di più fattori non permette di ricondurre le cause della morte al solo contagio”.

La questione del piano pandemico secondo Crisanti

L’’epidemia colposa’ è anche uno dei reati al centro dell’inchiesta bergamasca, in particolare per quello che riguarda la gestione dell’ospedale di Alzano Lombardo, il cui pronto soccorso venne riaperto dopo una prima chiusura nonostante fossero stati individuati dei pazienti Covid.

Qui però è lo stesso consulente della Procura, il microbiologo Andrea Crisanti, a far capire che si andrà verso l’archiviazione sulla base della sua perizia: “Non è emerso che l’ospedale sia stato un ‘acceleratore’ di contagi. Non sono emerse criticità per quanto riguarda questo aspetto”.

Invece a quanto trapela dal riserbo sullo studio di migliaia di pagine consegnato ai pm, Crisanti avrebbe colto un nesso eziologico tra la mancata chiusura della zona rossa in  Val Seriana e il numero di morti che ha decapitato la popolazione in questa terra. Sia il governo che la Regione, stando alle norme, avrebbero potuto sigillare i confini ma ritennero di non farlo.

I possibili avvisi di garanzia prima della fine dell’indagine

E anche sul tema del piano pandemico, lo scienziato ha evidenziato delle “criticità” che poi spetterà a chi indaga valutare se possano essere reati o meno. La posizione di alcuni funzionari del Ministero della Salute sembrerebbe essere quella più a rischio in questa prospettiva. Dai loro tavoli dovevano passare i documenti che certificavano anche all’Oms la preparazione dell’Italia nel caso di una pandemia. E a proposito dell’organizzazione mondiale della Sanità c’è anche il capitolo dell’ex numero due, Ranieri Guerra. A lui i pubblici ministeri e Francesco Zambon, l’ex funzionario considerato ‘teste chiave’, contestano di avere postdatato il piano per affrontare la crisi sanitaria facendolo apparire aggiornato quando non lo sarebbe stato.La Procura tirerà le somme nelle prossime settimane.

E’ probabile che per una parte dell’inchiesta venga chiesto il sipario e per un’altra la chiusuta in vista di un possibile rinvio a giudizio.

Prima però potrebbero arrivare gli avvisi di garanzia e sulle eventuali responsabilità della politica un pezzo del fascicolo potrebbe essere mandato a Roma per competenza.

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