Principale Arte, Cultura & Società L’esperienza del patire in Dante è una impossibile pietà

L’esperienza del patire in Dante è una impossibile pietà

L’esperienza del patire è un lungo vissuto nella storia precipitata e fattasi macerie delle rovine della storia stessa.

Dove cade il destino o devo si sfilaccia il rito della storia è soltanto un passato che perde della credibilità della memoria. Soltanto il destino può dare memoria.

La storia è cronaca del passato. È un insieme di momenti che non fanno alcun “memento”. Uscirà per la fine dell’anno 2021 un mio prossimo libro su Dante “L’impossibile pietà di Dante” per i tipi delle edizioni Solfanelli nel quale il concetto del patire è un morire ma anche una lenta rinascita.

Tutto si perde perché si è già perso prima che potesse intrecciarsi con il cammino compiuto dal passato. La memoria è nel destino e il destino regge grazie alla consapevolezza dell’essere del destini.
Essere però non è esserci. C’è sempre un sapere dell’anima che diventa nostalgia della conoscenza della solitudine. Bisogna credere che la vita ha sempre un incipit che ci conduce verso una nuova attenzione. Incipit vita nuova ha un senso se la vita nuova trova il suo incipit. In quale tempo può essere recepito ciò?

Nel tempo della profezia che è il tempo dell’annuncio. È possibile un tale viaggio soltanto nel mito e mai nel reale. Il mito e il tragico sono ‘espressione e l’esperienza del vuoto o del tutto. La ricchezza del niente è la contrapposizione del nulla e del tanto oltre. Da dove nasce il senso del tragico? Dallo scavare il sottosuolo del patire. Il patire è un limite del mito inteso come volontà di conoscenza. Il mito vive del superamento del reale. Il reale può servirsi della maschera. Il mito è un pathos che ha abbandonato la commedia e convive con l’esilio della estraneità
dell’essere.

Non esiste l’essere senza conoscenza. Conoscere è il tempo nella e della fine. Ogni fine non avendo fini è oltre il dolore. Proprio in virtù di ciò resta il patire. Il patire è una partenza che confisca il bene e il male e rende cadenti l’oblio e l’allegria. Bisogna diventare cammelli per non smarrire l’orizzonte lungo la cui linea esiste soltanto la sopravvivenza. Il resto è abbandonare il campo o abitare il territorio della sopportazione. Si scenderà nell’oblio. Si ritorna alla cognizione del patire. Patire è sempre patire se stessi. Occorre uscire dalla storia per poter abitare il tempo. Dentro la storia si resta dei perdenti dei perduti.

Siamo delle civiltà sepolte per la storia e delle civiltà da riabitare per il tempo. L’unico luogo che non indossa maschere è proprio il tempo e ci rende profondamente carnali. Anche l’anima diventa carnale perché è uno spazio metafora del deserto insondabile. Essere aggrediti dalla storia è lasciarsi sfiduciare dal mito. Il passato ci riempie di ricordi.

Ma i ricordi diventano un trascinamento. Essere trascinati dai ricordi è morire in essi senza dissolvenza. Vanno dimenticati i ricordi e lasciarsi vivere nella e della memoria.

Cosa sarà di noi dopo l’oblio? Cosa resterà? Il sottosuolo dei demoni é il tempo che brucia l’istante. La cronaca é noia.

Dobbiamo cercare di guardare oltre ciò che chiamiamo infinito nell’indefinibile degli orizzonti non cercati. Il limite non è negli orizzonti.

O nella selva che carpisce l’infinito o nella siepe che nasconde il senso dell’uno nell’altro.

Neppure nel deserto si trova il limite. Convive tra la morte e lo spazio. Oltre insiste il naufragio o il diluvio.

Occorre scontare le pene del patire nella partenza che conduce in un porto che non è conoscibile perché è completamente sepolto dal tempo delle rovine, ovvero dalla storia che non ci appartiene come essere tempo o tempo dell’essere.

Tutto si smarrisce.
Il patire convive con il perdere. Patire e perdere non sono però una sconfitta. Bensì la consapevolezza del conoscere per conoscere altro.

Conoscere è anche l’aver conosciuto. L’aver conosciuto abita nel mito.

La potenza dell’errare non è il mito delle civiltà che riconducono il viaggio dopo essere state dissepolte dal tragico conoscere il presente. Non siamo eredi della storia e neppure profeti della rappresentazione della storia.

 

Siamo trascinatori del mito che va oltre la caverna per viaggiare il labirinto superando il caos. La verità? Il sottosuolo è una impossibile verità. Ha la conoscenza dell’esistenza di Dio. Cerca di superare il tempo ma trascinandolo
nella memoria rischia di lacerare la storia. Il tempo è carnale.

La storia è terribile sequenze di menzogne. Il sottosuolo è sempre un errare e uno straniamento. Anche quando affiorano i demoni. Sono gli dei che possono fare dei demoni dei dominatori. Ciò può avvenire soltanto se ammettiamo che Dio è morto. Ammettendo ciò l’errore della morte può trasformarsi in salvezza per un risorto Dio. Bisogna comunque prendere atto che Dio è morto. Proprio perché la storia è terribile Dante resta una una pietà impossibile.

Francesco Bruni

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