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Un tesoro nascosto  

La seconda guerra mondiale terminò a Trieste il 2 maggio del 1945, quando le ultime consistenti truppe tedesche rimaste, asserragliate ormai in tre capisaldi interni alla città (Castello di San Giusto, Palazzo di Giustizia e Comando Territoriale sulle alture di Scorcola) oltre che nella zona del Litorale, dove era confluita la flotta residua dall’Istria e dalla Dalmazia, trattarono una complessa e difficile resa che vide, tra i moderatori protagonisti, all’opera il noto collezionista di armi Diego de Henriquez.

Fu una resa che evitò la distruzione della città, ma non fu senza limitati combattimenti e senza spargimento di sangue. Sul Carso Triestino, comunque, alle porte della città, la conquista del territorio da parte delle truppe titine fu dura e cruenta. Il IX Corpus Jugoslavo giunse in città con gli organici addirittura dimezzati, e molti furono anche i casi di uccisione di prigionieri tedeschi in modi anche molto efferati.

Degli stessi è rimasta ancora memoria negli abitanti più anziani di quelle località che vedono tutt’ora una popolazione prevalentemente slovena.

Negli anni successivi, molte persone che vivevano in quelle località, si videro impegnate in una attività di cui nessuno parlava apertamente, ma che tutti conoscevano e di cui erano pienamente convinti: la ricerca di una cassa contenente lingotti d’oro che i tedeschi in ritirata avrebbero nascosto tra le gallerie militari che perforavano la montagna a ridosso della città di Trieste, e che, costruite ai tempi dell’Impero, furono abbondantemente sfruttate dalle truppe tedesche come depositi sotterranei di materiale e posti di osservazione e di difesa antisbarco ed antiaerea assolutamente sicuri.

Le gallerie di cui trattasi, abbandonate negli anni successivi e cadute nel più totale degrado, sono tuttavia luogo di esplorazione e ricerca di residui militari da parte di alcuni speleologi di superficie dilettanti, i quali conoscono molto bene le stesse e coltivano questa loro passione con grande impegno. Una di queste gallerie, in effetti, quella sita nei pressi della zona cosiddetta dell’Obelisco, presenta nella sua strutturazione interna caratteri molto particolari, diremmo eccessivi per una semplice struttura militare con compiti di sola difesa costiera. La profondità della stessa, e le particolari diramazioni interne, hanno indotto in questi esperti la convinzione che nella medesima fosse conservato materiale strategico particolare e cioè materiale chimico e nucleare.

Presso il museo triestino dedicato a Diego de Henriquez, è, tra il molto altro ivi raccolto, conservato anche un gigantesco cannone Krupp costruito nel 1941 e, soprattutto, mai entrato in funzione, stante la condizione perfetta della rigatura interna della lunghissima canna.

Sarebbe uno dei sei o sette esemplari che furono prodotti per lanciare proiettili all’uranio, ma che la Germania nazista non riuscì ad impiegare prima della sconfitta. Qualcuno di quegli esemplari sarebbe ora conservato in Germania, qualcun altro negli USA, e, quello triestino, fu lasciato dai tedeschi in ritirata a de Henriquez, grande esperto di armi e notissimo collezionista, in quanto risultava troppo difficile, in quelle concitate circostanze, ritrasportarlo in Germania, la cosa appare evidente a chi dà soltanto una semplice occhiata a questa gigantesca e mostruosamente perfetta macchina da guerra.

Dunque, l’ipotesi è che proprio nell’area più profonda della galleria militare dell’Obelisco, quelle ulteriori ed inspiegabili diramazioni sarebbero state deposito per quell’artiglieria in attesa di impiego. Del tutto però non è rimasta traccia, né sono noti studi specifici per accertare eventuali tracce, in quegli antri, di prodotti chimici o radioattivi.

Per quanto riguarda invece la vicenda del presunto oro nazista, la convinzione diffusa in tutta la popolazione carsolina era che, al momento della partenza, i tedeschi avessero interrato, non si sapeva esattamente dove, una cassa ripiena di lingotti d’oro, ed in base a questa convinzione si aprì, da subito, una caccia accanita alla scoperta di quel tesoro. C’era, naturalmente, una caccia tendente ad un solo scopo, e cioè all’impossessamento di quel grosso tesoro, per cui la riservatezza, specie tra i ricercatori, era estrema.

Nelle osterie si parlava della cosa, ma ogni gruppo si guardò bene dal fare conoscere agli altri le sue reali informazioni o presunzioni, anzi, semmai, ognuno tentava di dirottare gli altri verso falsi scopi. E la cosa durò a lungo, esattamente fino al 1974, quando, di colpo, ogni caccia al tesoro fu abbandonata.

Cosa era successo? E qui dobbiamo fidarci della voce popolare, ma quella gente è ancora convinta di questo: gli eredi di quei nazisti che avevano nascosto il tesoro, un bel giorno vennero, lo dissotterrarono e lo portarono via. Dove? Mistero!

Il fatto reale però è che, da quella data, ogni ricerca fu sospesa. Leggenda o realtà troppo seria per essere divulgata? Non è dato saperlo.

Noi prendiamo solo atto di quanto a lungo fu cercato e, poi, non trovato, come presa d’atto di una sconfitta, che molti, sul Carso triestino, ancora rimpiangono.

Vincenzo Cerceo

Redazione Corriere Nazionale

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