Principale Politica Il significato politico del rinvio delle amministrative

Il significato politico del rinvio delle amministrative

Riguardano città come Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna, Trieste, la regione Calabria e un seggio vacante a Siena. Più centinaia di città minori. C’è interesse ad una tregua per i forti sommovimenti dentro i partiti.

Non si sa ancora con precisione se le elezioni amministrative di primavera verranno spostate ad ottobre, così come vorrebbe la coerente interpretazione data da Mattarella quando ha escluso elezioni politiche anticipate per ragioni dipendenti dalla perdurante pandemia. Vaccinazioni innanzitutto.

Ma la questione non è burocratica, anzi è molto interessante per le implicazioni politiche che contiene.

Non si tratta di elezioni di poco conto. Riguardano città come Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna, Trieste, la regione Calabria e un seggio vacante a Siena. Più centinaia di città minori.

Tutte o quasi le forze politiche hanno interesse ad una tregua, in presenza dei forti sommovimenti interni che si stanno verificando: dal PD in cerca di linea dopo il fallimento dell’opzione Bettini sul Conte ter, ai 5S stravolti dalla perdita di un terzo dei parlamentari e con i restanti che sono tutt’altro che moderati, alle prese con le contraddizioni di un partito arrivato ad accordarsi con tutti, ma proprio tutti, gli odiati avversari, ora persino Berlusconi. La tregua sarebbe necessaria per riordinare le idee anche nel centrodestra, che aveva ritrovato unità, ma ora sconta la separazione di Fratelli d’Italia e deve riassorbire le conseguenze della svolta europeista di Salvini, a sua volta reazione alla capacità tattica della Meloni e alla ritrovata centralità di Forza Italia.

Se le elezioni fossero a maggio, sarebbe scontato almeno il tentativo di battere i vecchi sentieri: unità del centrodestra, e rilancio a sinistra della triade battuta da Renzi.

Le residue incertezze sul rinvio elettorale sono legate proprio alla tentazione del ripiegamento sui vecchi schieramenti, in realtà scomodo a sinistra, visto che la mossa incauta del “coordinamento” dei vecchi alleati ha già creato più malumori che consensi.

Ma incombe una questione che l’effetto politico della pandemia ha evidenziato: la spinta ad una ristrutturazione dell’intero quadro politico, compresa una prospettiva di crescita di un’opzione di centro che sarebbe già oggi più visibile se i galli di quel pollaio (Renzi, Calenda, Bonino, le divisioni in FI) non lo impedissero. Opzione strategica, se lo capissero, visto che ritorna l’orizzonte europeo delle grandi idee fondanti, dopo le sbornie populiste.

Ma il fattore tempo può cambiare tutto, considerato che pochi mesi sono oggi un’era: in due settimane di febbraio tutto è cambiato radicalmente.

Può darsi dunque che un rinvio ad ottobre di queste elezioni riesca a proporre un cambiamento rilevante, ricordando tra l’altro che il 3 agosto scatta il semestre bianco e il Parlamento, non più scioglibile, potrebbe a sua volta dar spazio a giravolte e mosse anche disperate. Persino la natura proporzionale della nuova legge elettorale è tutta da discutere, e si rischia una conferma del “rosatellum”.

Qualche candidato Sindaco partito troppo presto, potrebbe ritrovarsi con fiato corto e alcune soluzioni oggi in grave ritardo potrebbero chiudersi in modo imprevedibile. Il centrosinistra è tranquillo solo a Milano e può rigiocarsi la Calabria se si muove bene, ma occorre tempo. A Roma e Torino tutto è in alto mare. Nella capitale bisogna far fuori la Raggi per tentare un accordo PD 5S (su Gualtieri? con quali esiti?), ma, se c’è tempo, non è esclusa una terza soluzione. A Torino, uscita la Appendino, difficile proporre un’intesa, ma il PD ha troppi candidati. A Napoli, sempre il PD potrebbe piegarsi ai 5S per appoggiare un Fico, ma c’è già in campo un Bassolino che potrebbe fare un solo boccone dell’incerto esploratore.

Insomma, tante cose sono ancora da definire. Resi più liberi, dall’assunzione di responsabilità trasferita su Draghi, i partiti hanno l’occasione di riordinare le idee.

Un tempo avrebbero fatto dei congressi. Oggi ci sono i talk show: almeno lì, ci facciano sapere se sono capaci di venirne fuori.

Beppe Facchetti

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