Principale Arte, Cultura & Società Musica, Eventi & Spettacoli “Bill Evans, un genio del piano jazz”

“Bill Evans, un genio del piano jazz”

Continuo con questo articolo dedicato a Bill Evans quanto già iniziato scrivendo di Miles Davis e cioè tentare di tratteggiare in poche righe vita ed opere di figure che per la loro grandezza sarebbe impossibile descrivere  anche in interi tomi a loro  dedicati e lo faccio affinché la bellezza unica di cui le composizioni di questi artisti sono latrici possa interessare ed avvicinare ancora il maggior numero possibile di persone. È infatti mio intento offrire qualche indicazione a chi lo desideri, per aggiungere al tempo che trascorriamo su questa terra la fruizione di un valore ulteriore, quello appunto della bellezza, che i mezzi attuali mettono  a disposizione di tutti praticamente a costo zero e che tanti ignorano, abituati a cercare ed inseguire altro nelle cattedrali dei centri commerciali.

Bill Evans nasce negli Stati Uniti, a Plainfield, nel New Jersey, nell’ agosto del 1929 ed anche per lui come per altri grandissimi una insegnante ebbe a dire che avrebbe fatto meglio ad abbandonare lo studio della musica ed occuparsi di altro(!).

Suo padre era un emigrato gallese e sua madre, di origine russa, era appassionata di compositori classici ed essa stessa pianista. Tanto Bill quanto suo fratello Harry studiarono dunque musica sin da piccoli. In particolare furono avviati alla conoscenza ed allo studio di Debussy, Ravel, Bach, Chopin, studio a cui dedicavano anche sei ore di ogni loro giornata. Fu suo fratello Harry ad  avvicinare Bill al mondo del jazz e del blues, che attraverso l’improvvisazione gli consentirono di rompere i rigidi schemi della musica classica. Nel 1950 si laurea al Southeastern Louisiana College e da quel momento dedicherà l’ intera vita alla musica, che svolgerà così un ruolo assoluto, non lasciando il necessario spazio alla  vita privata dell’artista, che molto infatti ne risentirà. Collabora sin da subito con personaggi del calibro di Paul Motion, ma la consacrazione vera e propria ci fu quando Miles Davis gli consentì di entrare a far parte della sua corte nella composizione del celeberrimo “Kind of Blue”, onore mai riservato prima di allora ad un musicista bianco. Nella sua autobiografia il trombettista sottolinea come determinante nella scelta di Evans fu propria la sua formazione classica. Davis tra le altre cose ricorda il carattere chiuso e malinconico del pianista ed una serie di scherzi di cui fu oggetto, prevedibili in un gruppo composto quasi esclusivamente da musicisti di colore. Evans in quel contesto opererà un’autentica rivoluzione, aprendo il jazz alla contaminazione della musica di Ravel e Debussy. Abbandonerà tuttavia Davis poco dopo, costituendo il celebre trio con Scott LaFaro e Paul Motion. Di questo straordinario periodo non posso non citare il superbo “Sunday at Village Vanguard” del 1961 ed “Explorations”, periodo che si concluderà con la tragica morte in un incidente automobilistico di Scott LaFaro. Degli anni settanta è invece il meraviglioso “You must believe in springs”.

È mio personale convincimento che ad attrarre Miles Davis fu sì la matrice classica della formazione di Evans e la sue perfezione tecnica nell’esecuzione, ma anche la inconfondibile profondità del messaggio artistico, che lo fecero e lo fanno rappresentante dal peso indiscutibile accanto  ai migliori autori  delle forme d’arte più alte del novecento. Nel pianismo di Evans è tipica la dilatazione modale degli spazi e dei tempi ed una sconfinata creatività, che hanno reso le sue composizioni sempre uniche e diverse. In genere, quando si parla di Evans si sottolinea appunto il suo legame con la tradizione accademica, ma a mio avviso nella sua musica è grandemente presente anche il mood tipico del blues, sebbene ritenga che  il suo valore, così come per i più grandi, risieda nella creazione di qualcosa prima inesistente, nella originalità assoluta ed inconfondibile delle sue creazioni che, come appunto per tutte le forme d’arte degne di questo nome è alternativa alla natura, in opposizione ad essa e rivendica ll suo essere figlia solo della condizione umana.

Evans morirà a New York nel settembre del 1980. I  suicidi della moglie e del fratello lo avevano segnato profondamente, chiudendolo ancor più in quella solitudine che lui riteneva necessaria per comporre ed avvicinandolo all’uso abituale delle droghe. Lascia un patrimonio straordinario che ha ispirato schiere di musicisti e legato ad un’ idea alta della bellezza generazioni di appassionati. Tutto ciò rende la sua morte qualcosa di incidentale e dal peso relativo rispetto alla forza del messaggio che la musica di questo eccezionale musicista ci ha lasciato.

Rosamaria Fumarola.

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