Secondo alcuni, politici e opinionisti, il Governo, decidendo di adottare provvedimenti amministrativi per contrastare la diffusione dell’epidemia, si sarebbe posto fuori legge. Dunque, il Governo Conte sarebbe fuori legge, perché, nel contrastare l’epidemia con i famosi DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), avrebbe illegalmente eliminato o, almeno, fortemente limitato, i nostri diritti di libertà violando la Costituzione che, invece, li tutela anche contro i poteri dello Stato. Dunque, la prima cosa da chiarire riguarda la natura e i limiti dei DPCM, provvedimenti amministrativi emesse dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Secondo la dottrina il Governo svolge funzioni politiche consistenti nella determinazione dell’indirizzo politico generale che esplica ed attua attraverso provvedimenti amministrativi.
Tali provvedimenti devono essere emessi nei limiti segnati dalla legge e dalla Costituzione. Quindi, i provvedimenti amministrativi svolgono la funzione di dare attuazione alle leggi in vigore che, come sappiamo, sono approvate dal Parlamento. Ebbene, secondo alcuni i DPCM sarebbero stati emessi al di fuori e oltre i limiti di legge, anche perché, ad avviso dei severi critici del Governo, lo stato di emergenza sanitaria non sarebbe previsto da nessuna legge dello Stato, pertanto sarebbe un’invenzione del Governo. E’ proprio così? Io non sono d’accordo. Questa impostazione è resa possibile da una errata lettura e interpretazione delle norme giuridiche. Il dubbio sulla previsione legislativa di questa emergenza non è, tuttavia, campato in aria. E’ sorto da subito allorchè il nostro Paese, ma non solo, è stato invaso dal CORONAVIRUS che ha mandato molti nostri concittadini negli ospedali dai quali alcuni, qualche migliaia, non sono usciti vivi.
Il Governo, di fronte a un fenomeno di questa gravità, ha ritenuto di agire il più tempestivamente possibile, con provvedimenti urgenti, quelli ritenuti i più adatti al controllo dell’epidemia con l’intento di frenarla e contenerla, quantomeno, in limiti tollerabili. Le reazioni, incredibili, sia da parte della politica sia da parte dei mass media, erano prevedibili in quanto i provvedimenti adottati comprimevano diritti ritenuti inviolabili. Le opposizioni arrivavano persino ad accusare il Governo di aver instaurata una dittatura sanitaria. Le accuse più gravi venivano proprio da partiti e movimenti che hanno nei loro programmi la visione dell’uomo forte al comando, condizione che essi ritenevano e ritengono l’unica capace di risolvere i problemi del Bel Paese. Ancora più sorprendenti sono alcune decisioni giurisprudenziali (due: una sentenza e un’ordinanza) nelle quali si parla espressamente di abuso di potere da parte del Governo e, in particolare, da parte del Presidente del Consiglio.
Della prima decisione, quella del Giudice di Pace di Frosinone (sentenza n. 516 del 2020), ci siamo occupati in altro articolo (La giurisdizione al tempo del coronavirus) pubblicato su questo giornale in data 23 agosto 2020. La seconda è del Tribunale di Roma (Ordinanza del 16 dicembre 2020) che ricalca praticamente le argomentazioni del giudice di pace frusinate.
Ma quali le argomentazioni delle due decisioni?
La prima contestazione riguarda la legittimità e la costituzionalità dei DPCM. Il Presidente del Consiglio avrebbe emanato provvedimenti amministrativi privi della copertura legislativa.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha inteso fronteggiare una situazione critica di grave pericolo per la salute pubblica provvedendo all’adozione di misure eccezionali che, a una lettura intelligente e costituzionalmente orientata delle norme del D.Lgs. n. 1/2018, ben si adattavano alla situazione dell’emergenza sanitaria. Con questo metro di lettura la calamità causata dal virus può essere tranquillamente annoverata tra gli eventi calamitosi di origine naturale che, per la loro jntensità ed estensione, devono essere affrontati con mezzi e poteri straordinari nel rispetto delle norme costituzionali. Per una migliore comprensione del problema va osservato che il Presidente del Consiglio ha adottato i DPCM in ottemperanza a decreti legge ritualmente convertiti. Se le leggi che legittimano l’adozione dei decreti fossero ritenute non conformi alla Costituzione, non potrebbe applicarsi la disapplicazione, come hanno fatto i giudici in questione, ma il ricorso alla Corte Costituzionale.
La seconda contestazione riguarda l’incostituzionalità dei provvedimenti adottati.
La nostra Carta costituzionale ci attribuisce varie libertà (libertà di circolazione, di riunione, di associazione, di fede religiosa) che non possono essere compresse se non nelle ipotesi previste dalla stessa Costituzione (motivi di salute pubblica o di ordine pubblico). Infatti, gli articoli 16 e seguenti prevedono che il Parlamento, organo sovrano, può limitare le predette libertà per ragioni sanitarie e di ordine pubblico. In tali casi il Governo, che agisce sotto la propria responsabilità, provvede con decreti legge da emanarsi per ragioni straordinarie di necessità e urgenza e da convertire in legge entro sessanta giorni (art. 77). Con la conversione in legge il Parlamento convalida il giudizio del Governo sia sotto l’aspetto formale sia sotto l’aspetto sostanziale e lo esonera dalle sue responsabilità. In proposito è bene ricordare che “la mia libertà finisce dove inizia la tua”, principio efficacemente sintetizzato dal nostro Mattarella che, in occasione della cerimonia del Ventaglio, ha precisato “Libertà non è il diritto di fare ammalare gli altri”. Ora, poiché il virus circola con la circolazione delle persone, l’intervento del Governo con l’emanazione di norme volte a limitarla si inserisce nell’esigenza precauzionale della tutela della salute. L’azione del Governo si è svolta e si svolge in relazione alla dimensione spaziale e temporale assunta dalla pandemia.
Un altro aspetto controverso di cui parlano i provvedimenti giurisdizionali in esame è quello della tutela della libertà personale e domiciliare la cui limitazione può essere disposta solo dal giudice: la disposizione che stabilisce “un divieto generale ed assoluto, di spostamento dalla propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni” configurerebbe un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare che potrebbe essere disposta solo dal giudice penale (artt. 13 e 14 Costituzione). Una vera e propria confusione concettuale! Le norme della Costituzione ritenute violate si riferiscono, come è evidente, a comportamenti strettamente personali e non alla pandemia che richiede limitazioni generali, che valgano per tutti.
Dunque, la Costituzione contiene norme che conferiscono al Governo, potere esecutivo, di emanare decreti aventi forza di legge con l’obbligo ovviamente della loro conversione in legge attraverso il voto del Parlamento. Il Governo è obbligato a intervenire ogni volta che sia messa in pericolo la sicurezza e l’incolumità delle persone. Ed è proprio in simili congiunture che si rivela la statura politica del Presidente del Consiglio e di tutti i Ministri che compongono il Governo. Ma anche delle forze politiche di opposizione che, nello specifico, avrebbero potuto manifestare un profilo pubblico che è proprio di coloro che hanno a cuore l’interesse generale.
Dunque, la sicurezza sanitaria è un bene giuridico meritevole di tutela anche a costo di limitare, temporalmente s’intende, le altre libertà democratiche con provvedimenti che, adottati dal Governo, devono la loro legittimità a una legge che li autorizza. D’altronde, la sicurezza e la salute sono strumenti per accrescere le libertà dell’uomo che, senza la salute, vedrebbe fortemente limitata la qualità della sua vita.
Raffaele Vairo