Principale Politica Diritti & Lavoro I meridionali Camilleri e De Crescenzo e i loro punti in comune

I meridionali Camilleri e De Crescenzo e i loro punti in comune

Antonio Cangemi

Nel giro di pochi giorni sono scomparsi due scrittori di successo: Andrea Camilleri e Luciano De Crescenzo. Due scrittori che a ben guardare, seppure di diversa ispirazione, avevano dei punti in comune. Entrambi erano tra i pochi in Italia ad avere un numero di lettori elevato (elevatissimo per Camilleri), erano meridionali e avevano la dote dell’ironia.

Riguardo all’estrazione meridionale, questa è propria della maggior parte degli scrittori. Se si dovesse fare una comparazione –anche solo numerica- tra scrittori meridionali e settentrionali, i primi prevarrebbero nettamente. Perché? La risposta l’avrebbe data proprio Camilleri che giustificò la presenza di tanti scrittori, e di spessore, nell’Agrigentino – non eccellente certo per floridità economica – con una felicissima battuta: “Scrivere non costa nulla e poi, causa la scarsa occupazione, si ha più tempo a disposizione”. Le parole di Camilleri richiamano l’altro tratto comune con De Crescenzo: l’ironia, che è capacità di guardare la realtà con distacco ma non con freddezza, di sorridere degli altri e di se stessi e, soprattutto, delle storture della società disapprovandole e contribuendo ad eliminarle. Veniamo ora alla popolarità e al successo commerciale che li accomunava. Per uno scrittore, specie in Italia, essere popolare e godere di un buon mercato editoriale è un marchio negativo. Se poi ciò si associa alla prolificità, le cose peggiorano (e Camilleri è stato il più prolifico scrittore italiano del ‘900).

Vi è un modo di ragionare comune, elementare quanto diffuso, che associa due fattori opposti: il positivo si accompagna necessariamente al negativo. Lo osservava, nella seconda metà del secolo scorso, lo storico e umanista Virgilio Titone, intellettuale profondo quanto controverso e oggi quasi del tutto dimenticato. Se una donna è bella non può essere intelligente, se una persona è diligente, non sarà acuta né originale. Allo stesso modo uno scrittore che incontra i gusti del pubblico non può essere uno scrittore di talento. Meglio che non abbia lettori e che non venda i suoi libri.

Camilleri però, a dispetto dei luoghi comuni di un ragionare per schemi mentali semplificati, è tra i pochi scrittori dei nostri giorni che rimarranno. Se non altro perché ha inventato un nuovo linguaggio. Naturalmente, tra i tantissimi suoi libri, quelli che si ricorderanno saranno i romanzi storici (quali “Il birraio di Preston” e “La scomparsa di Patò”) e non tanto quelli della serie di Montalbano sebbene di gradevolissima lettura.

Detto questo, un’altra notazione: la Rai, dopo la sua morte, lo ha esaltato oltremodo. Non che non lo meritasse, ma si pensa che ciò abbia avuto un fine preciso: farlo rientrare pienamente nell’ambito del “nazional-popolare” (inteso non certo in senso gramsciano), diffondere di lui un’immagine appetibilissima al grande pubblico resa immune dal suo credo politico. Che era chiaro e nettamente contrario all’attuale governo sovranista-populista.

Riguardo a De Crescenzo e alla sua permanenza nel tempo, probabilmente non si potrà dire lo stesso di quanto detto per lo scrittore di Porto Empedocle, ma la letteratura d’intrattenimento e quella divulgativa hanno un’importanza decisamente superiore rispetto a quanto comunemente si crede. I diversi volumi di storia della filosofia  scritti da De Crescenzo (più storia della vita dei fiolosofi che del loro pensiero, osservava Eco) meritano un posto nelle nostre librerie.

Per ricordare De Crescenzo, riporto un dialogo dal suo breve saggio divulgativo “Il dubbio”: – “Solo i cretini non hanno dubbi” – “Non ci sono dubbi”.

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