Principale Politica Diritti & Lavoro Dopo 300 anni il Governo chiude ilĀ Florian

Dopo 300 anni il Governo chiude ilĀ Florian

In questi giorni il CaffĆØ Florian, in Piazza San Marco a Venezia, compie 300 anni. Popolato di fantasmi ma vuoto di avventori e di camerieri capaci di piroettare tra i tavoli con il vassoio tenuto in alto con una sola mano come acrobati, chiuso come tutti i pubblici esercizi e come i musei, le biblioteche e gli archivi.

E dire che in 300 anni non aveva mai chiuso: Era aperto quando abdicĆ² lā€™ultimo doge, Ludovico Manin e quando si formĆ² la municipalitĆ  democratica, riunendo intorno alle parole dā€™ordine Ā  ā€œlibertĆ ā€, ā€œuguaglianzaā€, ā€œragioneā€, ā€œgiustiziaā€, Ā 60 tra Ā patrizi, Ā Ā Ā commercianti, Ā imprenditori, Ā uomini di affari; Ā professionisti e ex burocrati, qualche ecclesiastico qualche militare, pochi rappresentanti del popolo come Vincenzo DabalĆ , il gastaldo dei pescatori di San NicolĆ². Ā Pare che proprio nelle sue salette si decise il prelievo dalla Zecca di 12 mila ducati dā€™oro da distribuire ai ā€œpoaretiā€ e dalle sue vetrine di poteva vedere lā€™Albero della LibertĆ , la cui erezione fu celebrata con una festa di bpopolo con ben 4 archestre e e grandi pannelli con le scritteĀ ā€œLa libertĆ  si conserva con lā€™osservanza delle leggiā€, ā€œLa libertĆ  nascente ĆØ protetta dalla forza delle armiā€ e ā€œLa libertĆ  stabilita conduce alla pace universaleā€. Era aperto quando si seppe dellā€™occupazione austriaca di Istria e Dalmazia dove i Ā I vessilli di San Marco della ex Repubblica Veneta erano stati ammainati, Ā insinuando il legittimo timore che Ā le appena nate municipalitĆ  democratiche venete venissero schiacciate come vasi di coccio dalleĀ  trattative tra i grandi: Austria e Francia.

ChissĆ  se proprio lĆ  Ā dove si riuniva a volte il Comitato di salute pubblica, nacque il proposito di combattere la fame dei veneziani ( ā€œLa miseria ĆØ allā€™interno delle famiglie, i palazzi stessi sono belli sepolcri che coprono il languor della fame e della disperazione; lā€™occhio francese che vede le mura, non penetra la desolazione di chi le abita. E noi calcoliamo con veritĆ  che allā€™entrar dellā€™inverno un terzo della popolazione nostra non avrĆ  un tozzo di pane da mettersi in bocca senza soccorsi del pubblico, se le cose proseguono cosƬā€ scrivono nel settembre 1797 i rappresentanti del comitato) con un fondo volontario Ā Ā fruttifero con i prestatori garantiti dalla consegna in mano di ciascuno di un corrispettivo in verghe dā€™argento esistenti in Zecca e ricavate dai confiscati arredi delle chiese e confraternite e che fruttĆ² piĆ¹ di 3.500.000 lire venete.

Mentre sappiamo per certo che proprio nella saletta del Senato Ā Daniele Manin e i suoi consiglieri prepararono la Rivoluzione veneziana del 1848 e che le cannonate sparate dalle navi austriache fecero tremare le sue vetrate e tintinnare le stoviglie di fine porcellana. E rimase aperto Ā quando sul ponte sventolava bandiera bianca, poi durante la prima guerra mondiale, quando gli altoparlanti diffusero in Piazza il discorso Ā di Mussolini e i miei nonni e i miei genitori lo ascoltarono disperati ma intrepidi seduti a uno di quei tavolini.

Adesso no, adesso il Florian ĆØ chiuso. E probabilmente lo sarĆ  definitivamente: dallā€™inizio della crisi sanitaria i ristori, che ha ricevuto a fronte di entrate dichiarate e fatturato crollato di due milioni di euro, Ā sono stati irrisori, ciononostante i 70 dipendenti hanno percepito le loro remunerazioni e la societĆ  di gestione dellā€™esercizio ha dovuto pagare il fitto ai vari proprietari che, quasi tutti, hanno accettato una sforbiciata del canone.

Quasi tutti perchĆ© lā€™unico che non ha sentito ragioni ĆØ il Demanio, irremovibile e severo come non ĆØ stato quando, con il sostegno delle istituzioni e degli enti pubblici, gli ā€œinvestitoriā€ in vena di mecenatismo peloso hanno lanciato la loro operazione di ristrutturazione delle Procuratie Vecchie e la Ā ā€œvalorizzazioneā€ degli spazi pubblici adiacenti, un caso simbolico Ā di svendita del patrimonio comune a consolidare una volta di piĆ¹ il predominio degli interessi privati nel governo delle cittĆ .

GiĆ  me li immagino i moralizzatori degli scontrini attivi in Piazzetta di Capri, nei dehors del Florian o del Lavena, al Pedrocchi di Padova, alle giubbe Rosse a esigere moti insurrezionalisti e chiedere a gran voce Ā disobbedienza alla sambuca e antagonismo al cappuccino, per protesta contro le esose pretese della caffetterie storiche, mettendo alla gogna gli assoggettati al balzello, legittimato e invece se si tratta di spritz nei santuari di Briatore, di salamino negli empori km.0 di Farinetti, di scarpacce negli outlet di Adidas.

PerchĆ© grazie agli equivoci sul turismo di massa, che considerano una conquista sociale e democratica essere tutti assiepati senza vedere nulla davanti alla Dama con lā€™Ermellino, dormire in stanzette anguste come celle di una galera nei Ā B&B dei manager dellā€™accoglienza, sfilare in corteo stancamente lungo viuzze dei centri storici assediati da venditori di cibi tutti uguali e merci tutte Ā identiche da Singapore a Firenze, da Melbourne a Noto, seguendo guide con lā€™ombrellino che ripetono stancamente le pagine del Touring scaricate sul cellulare per erudire i forzati del selfie, Ā il consumo di opere dā€™arte, dei siti archeologici, delle bellezze che fanno parte del nostro patrimonio nazionale, devono essere gratuite, devono essere un diritto senza il dovere della tutela, della cura e del rispetto.

E invece ci sono luoghi della memoria che reclamano la stessa considerazione della casa di un poeta o di uno scienziato o lo studio di un artista, di un museo civico, di una pinacoteca o di un archivio.

Le fraschette romane, i trani milanesi, i bacari veneziani, le bettole dei Carrugi ma allo stesso modo i caffĆØ vicini alla Borsa, quelli letterari, sono stati posti diĀ sovversioneĀ e diĀ integrazione, di amicizia e di sovvertimento, se pensiamo ai ritrovi del Basso Veneto e della Romagna, fucine del movimento anarchico, e di elaborazione del dissenso contadino contro la possidenza e le rendite terriere, quelli dove la sera si ritrovavano le mondine a ballare e cantare, ma anche se guardiamo a quelle sale foderate di damaschi, broccati e specchi dove capi ā€œin marsina e sparato bianco gridavano i loro comandi a stuoli di camerieri come centurioni in battagliaā€, dove in angoli appartati si riunivano carbonari e militanti risorgimentali dellā€™etĆ  dei nostri ragazzi che la sera a Piazza di Pietro celebrano il rito dellā€™happy hour.

E se le osterie ospitavano le societĆ  di mutuo soccorso (lā€™Angelo Raffaele a Venezia lancia la primaĀ Cassa Peota), e le Leghe socialiste, lā€™Europa a Napoli ospitava laĀ Palestra Letteraria, a Genova era il caffĆØ a dare il nome alla cerchia dei letterati che lo frequentavano, lā€™Accademia del Roma, al Pedrocchi di Padova o al Corazza di Udine si riunivano quelli del Casino dei Nobili e i gruppi non poi tanto clandestini dei patrioti risorgimentali.

Il tempo aureo dei ritrovi politici fu infatti il Risorgimento: a Torino al Diley si incontravano Dā€™Azeglio e i cospiratori, al Nazionale e al Colosso i liberali, a Milano PeppinaĀ  e Cecchina ospitano due societĆ  segrete. La stessa funzione la assolvono il caffĆØ della Fenice a Bologna e il Greco a Roma. Al Florian dopo la battaglia del 17 marzo 1848, vengono ricoverati i feriti e al Pedrocchi gli austriaci in armi fanno irruzione un mese dopo con le baionette inastate per arrestare gli studenti.

Quello delle osterie ĆØ il periodo della Prima Internazionale, quando anarchici e socialisti, anche lĆ  in quella stanze fumose iniziano il processo di politicizzazione delle classi lavoratrici urbane Ā e rurali. E molti di quei posti, anni dopo, diventano Ā il teatro di incontri e attivitĆ  dei partigiani.

Ma passato di moda il tempo dei viaggiatori in Italia che si mescolavano a ricchi e plebei frequentando i caffĆØ e le bettole malfamate Ā delle cittĆ  dā€™arte ĆØ cominciato il successo delle societĆ  letterarie e artistiche, alle Giubbe Rosse che ā€œĆØ quella cosa che ci vanno i futuristiā€, alla bottiglieria Rattazzi di Milano si siedono ai tavolini angusti Ginzburg e Pavese, al CaffĆØ Hagy di Milano sostavano i Boito prima e poi quelli che in seguito si sposteranno nei locali di Brera e al Cova si tenevano le riunioni di redazione dei quotidiani come a Napoli dove al Gambrinus a una certa ora incontravi tutti i giornalisti del Mattino.

E basterebbe la scena della Dolce vita di Fellini, nella quale il protagonista convoca il padre venuto dalla provincia a Roma in un caffĆØ di Via Veneto a rappresentare Ā il ruolo di quei luoghi consacrati dove si celebravano i riti di una mondanitĆ  che si riscattava con la frequentazione degli ambienti intellettuali, riuscendo a corrompersi vicendevolmente come profetizzava Flaiano.

Non ĆØ esagerato dire che se chiude i battenti un caffĆØ, si cancella una memoria che non troverĆ  mai ospitalitĆ  nei templi della teocrazia del mercato e del consumo, tra la formica e la plastica del bar dove siede sconsolata la gente di Hopper, nelle catene di mescita di schiume insapori di Starbucks. E che con essa si disperdono un poā€™ di democrazia e di libertĆ .

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