
La vita in carcere – Cosa resta del concetto di giustizia se lo si separa dalla dignità?
È da questa domanda che parte il viaggio lucido e coraggioso della giornalista Francesca Ghezzani nel suo nuovo libro-inchiesta, fresco di stampa, “Il silenzio dentro – Quando raccontare diventa un atto di giustizia”, edito da Swanbook Edizioni e disponibile in libreria dal 15 ottobre 2025.
L’autrice è una giornalista e conduttrice televisiva, laureata in Scienze Linguistiche e Tecniche dell’Informazione e della Comunicazione; ha frequentato poi un corso di Specializzazione in Tecniche di Produzione nell’Audiovisivo e nel Multimediale. Alla ultraventennale professione nel giornalismo televisivo affianca collaborazioni radiofoniche e con testate nazionali. Parallelamente, ha collaborato con istituti in qualità di docente di comunicazione ed eventi ed è annoverata tra i “contributors” di diverse pubblicazioni editoriali dedicate al giornalismo e al sociale.
Il carcere, oggi in Italia, – spiega la collega giornalista Francesca Ghezzani -, raggiunta per telefono – è spesso il volto più nascosto e più scomodo – delle istituzioni. Una realtà che molti preferiscono ignorare, o che viene strumentalizzata per alimentare narrazioni securitarie. Ma dietro le sbarre ci sono persone. Alcune colpevoli, altre fragili, molte dimenticate. In un sistema che invece di rieducare, punisce due volte: con la privazione della libertà e con l’abbandono.

Ghezzani attraversa questa realtà con uno sguardo critico e umano, scegliendo la narrazione come strumento di consapevolezza, e forse anche di riscatto. Il libro dà voce a detenuti, ex reclusi, operatori, attivisti, psichiatri, sociologi e figure istituzionali che ogni giorno convivono con le contraddizioni di un sistema penitenziario incapace – troppo spesso – di assolvere alla sua funzione costituzionale: rieducare chi ha sbagliato, prepararlo a tornare nella società senza essere più un pericolo.
Suicidi per mancanza di attenzione da parte delle istituzioni
Il 2024 è stato l’anno dei record: suicidi tra i detenuti e tra gli agenti di Polizia Penitenziaria, carceri sovraffollate e strutture fatiscenti. Eppure, se ne parla poco. E lo Stato tace. Così il carcere smette di essere una parentesi e diventa un destino. Non è un caso se molti detenuti, una volta usciti, tornano a delinquere: non per vocazione, ma per mancanza di alternative. Perché la libertà, senza strumenti per viverla, può fare più paura della prigione.
“Il silenzio dentro” rompe questo silenzio. Lo fa con un’indagine rigorosa e appassionata, che tocca anche temi nuovi come economia carceraria, upcycling e intelligenza artificiale applicata alla giustizia. Tra le voci raccolte, quelle di Alessio Scandurra (Antigone), Don Luigi Ciotti, Carmela Pace (UNICEF), il penitenziarista Enrico Sbriglia, l’attivista Monica Bizaj e numerosi altri protagonisti del mondo penitenziario.
Viaggio nell’introspezione
Il tono non è mai pietistico. L’autrice non cerca alibi. Ma si interroga, con onestà, su che cosa serva davvero perché la pena non sia solo afflizione, ma occasione. “Come fare in modo che la libertà ritrovata non faccia più paura della prigione stessa?” si chiede. Una domanda che oggi interpella ognuno di noi.
Con la prefazione di Assunta Corbo, presidente di Constructive Network, e la postfazione del critico letterario e volontario carcerario Claudio Ardigò, “Il silenzio dentro” è molto più di un’inchiesta: è un manifesto civile. Una lettura necessaria, che toglie il velo su un sistema che incattivisce, isola e fallisce, ma che potrebbe – con volontà politica e responsabilità collettiva – diventare uno spazio di cambiamento reale. E’ un viaggio nella “discarica umana”, così come brutalmente è stato scritto, per svegliare le coscienze istituzionali.
Perché raccontare il carcere, conclude Francesca Ghezzani, non è solo un dovere giornalistico: “È un atto di giustizia”.






