
di Antonello Pelliccia
Il concetto di empatia nell’arte visiva, o Einfühlung, come teorizzato da pionieri come Robert Vischer (1873) e successivamente approfondito da Theodor Lipps, descrive la tendenza umana a “sentire dentro” la forma, a proiettare il proprio stato emotivo e corporeo nell’oggetto estetico.
Tuttavia, per addentrarci nel campo dell’arte contemporanea, è necessario distinguere due momenti fondamentali: l’arte prima e dopo l’avvento della macchina da presa. Se in precedenza l’artista era il mediatore principale, se non esclusivo, della rappresentazione del reale, l’invenzione della fotografia ha radicalmente alterato questo ruolo. Come sostenne Walter Benjamin in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), la riproduzione seriale distrugge l'”aura” dell’opera, quella sua unicità legata all’hic et nunc.
La pittura non doveva più “riprodurre il mondo del reale” con fedeltà. In risposta a questa crisi, i movimenti artistici moderni e contemporanei abbandonano l’imitazione della natura per rivolgersi all’indagine della cultura, intesa come regno dell’interiorità, del simbolo e dell’esperienza non ottica. “Ciò che viene meno è l’aura.” (W. Benjamin). La mia idea di empatia si fonda proprio su questa analisi: l’emozione provata ammirando l’arte del passato era legata alla condivisione del soggetto della rappresentazione (la storia, il ritratto, il paesaggio riconoscibile).
L’empatia moderna, invece, si genera nel campo dell’evocazione culturale e sensoriale. Esiste, dunque, un’arte empatica in senso moderno, non come modello di riferimento universale e oggettivo, ma come risposta soggettiva attivata dalla forma pura, dal colore, o dall’idea concettuale. L’Empatia del Sublime: Monocromo e Espansione Sensoriale. L’abbandono della mimesi pittorica in favore di indagini sull’inconscio, sul sogno (come in Paul Klee) o sul mondo tribale (ad esempio il primitivismo nelle avanguardie) segna lo spostamento dell’arte verso contenuti culturali e psicologici. È qui che l’empatia visiva trova nuove vie, spesso attraverso la negazione della forma.
La pittura monocromatica e la riduzione del colore rappresentano, in questo senso, l’apice della ricerca empatica post-auratica: Yves Klein con il suo International Klein Blue (IKB) non offre un’immagine, ma un’esperienza cromatica pura, una “sensibilità pittorica stabilizzata” che mira a toccare una dimensione spirituale e illimitata nell’osservatore. L’empatia è qui una risonanza cosmica. Mark Rothko e la dilatazione del colore con espansione lirica e musicale. Le sue tele di grandi dimensioni sono concepite per avvolgere lo spettatore, invitandolo a confrontarsi con una profondità emotiva che trascende il piano ottico.
L’empatia è un incontro quasi mistico con il colore come vettore di sentimenti universali (tragedia, estasi) Artisti come Ettore Spalletti lavorano sulla superficie e sulla luce, riducendo la forma per massimizzare la percezione sensoriale e tattile, trasformando la tela in un campo di silenzio e presenza. Queste opere, pur nella loro astrazione, non eliminano l’empatia; la trasformano da un riconoscimento (di un oggetto) a un sentimento (di uno stato).
Land Art
Un altro punto di riflessione fondamentale per l’arte empatica è la Land Art. Questo movimento, emerso tra gli anni ’60 e ’70, sfida non solo l’aura, ma l’idea stessa di opera trasportabile e musealizzabile, spingendo l’empatia in una dimensione spaziale e temporale. Nella Land Art, l’empatia non si genera guardando la fotografia dell’opera (che è solo un indice dell’evento), ma attraverso la comprensione della sua relazione fisica con il luogo. I teorici della Land Art, come Robert Smithson, insistevano sulla natura “non-sito” dell’opera, spesso remota, di cui si potevano vedere solo “sito” (campioni, mappe, foto). L’empatia nella Land Art è l’atto di “sentire il luogo” e il tempo profondo geologico che l’artista ha manipolato. È l’empatia non per la forma in sé, ma per la trasformazione temporale e l’esperienza del corpo in relazione a una scala monumentale. Guardando l’opera Spiral Jetty di Smithson, l’empatia nasce dalla comprensione della sua esistenza come indice in un ambiente ostile, che continua a esistere al di fuori del nostro sguardo e del nostro controllo.





