
San Cesario di Lecce, 1 ottobre 2025 – Esistono libri che non si limitano a essere letti: si vivono, si attraversano, si portano dentro come ferite che lentamente diventano cicatrici di luce. A San Cesario di Lecce, nella gremita Sala Consiliare del Comune, si è svolta una serata di straordinaria intensità emotiva e culturale, dedicata alla presentazione di Sopravvivere a un figlio, l’opera struggente e necessaria di Gisella Centonze. Una madre che ha saputo trasformare il dolore in testimonianza, la perdita in resistenza, il lutto in una luce capace di illuminare l’oscurità più profonda.
Una comunità che accoglie, ascolta e si unisce nel ricordo

L’evento, promosso dal Comune di San Cesario di Lecce e fortemente voluto dall’Assessore alla Cultura Anna Luperto, ha superato la semplice presentazione di un libro. È diventato un momento di condivisione collettiva, di profonda partecipazione civile ed emotiva, in cui tutta la comunità si è stretta intorno a una storia che parla di morte ma soprattutto di vita: di amore eterno, di memoria preziosa e di rinascita possibile.«Scrivere è un atto d’amore, leggere è un atto di cura», ha esordito l’Assessora Luperto aprendo l’incontro. «Oggi San Cesario ha scelto di prendersi cura dei suoi cittadini, di ascoltare con cuore aperto e di esserci, davvero. È questa la vera essenza di una città che legge: la cultura non è solo conoscenza, ma salvezza, umanità, comunità».
Il dolore di una madre diventa voce di tutta la città

Ha preso poi la parola il Sindaco Giuseppe Distante, sottolineando con forza come un dolore personale possa diventare patrimonio di tutti:
«Non abbiamo esitato un solo istante ad accogliere questa proposta. Il titolo Sopravvivere ad un figlio è di per sé un pugno allo stomaco, ma il libro è anche una carezza gentile, un gesto di coraggio e di speranza. È la voce di una madre che si è rifiutata di arrendersi, di chi ha trasformato il lutto in un insegnamento per tutti noi. Questo libro è una lezione di vita, resilienza e umanità».
Medicina, umanità e memoria: il toccante racconto della Dott.ssa Tornesello

Emozionante e profondamente significativa è stata anche la testimonianza della Dottoressa Titti Tornesello, primario del reparto di Oncoematologia Pediatrica dell’Ospedale “Vito Fazzi” di Lecce, che ha seguito con affetto e professionalità la storia di Filippo e di altri giovani pazienti:
«La medicina ha fatto passi da gigante negli ultimi anni. Ma ciò che davvero cura non è solo la scienza, è anche la memoria, l’abbraccio umano che resta. Questo libro è un vero farmaco per l’anima: ridà voce a chi non può più parlare e trasforma la morte in una responsabilità condivisa e collettiva».Ha voluto anche ricordare l’importanza del gesto di Gisella, grazie al quale il reparto è oggi dotato di una tastiera musicale professionale, strumento che offre ai piccoli pazienti la possibilità di esprimersi, di resistere, di comunicare attraverso la musica, veicolo di speranza e vita.
La parola che cura: poesia, amicizia e rinascita
Il valore della parola e della poesia sono stati portati in scena dalla scrittrice e poetessa Angela Perulli, che ha accompagnato l’autrice in questo percorso editoriale e personale:
«Per Gisella scrivere è stato come rinascere. Ogni pagina del libro è un atto d’amore e di resistenza. Questo volume è un ponte tra l’oscurità e la luce, tra chi resta e chi se ne va, ma che continua a vivere nella memoria di chi lo ama».
Emozionante anche il ricordo di Francesca Luperto psicologa, amica e compagna di scuola di Filippo:
«Filippo era una luce intensa, sempre capace di sorridere anche nei momenti più bui. Parlare di lui oggi è doloroso, ma è anche necessario: Filippo continua a camminare con noi, ogni giorno, nelle nostre azioni e nei nostri cuori».
Gisella Centonze: una madre che scrive per chi non può più farlo
Al centro della serata, le parole di Gisella Centonze hanno risuonato come un eco profondo, catturando l’attenzione e il cuore di tutti i presenti, che l’hanno accolta con un lungo e commosso applauso. Con voce ferma ma intrisa di un’intensa emozione, Gisella ha raccontato il suo doloroso e delicato cammino attraverso il lutto, la sofferenza e la rinascita, rivelando come la scrittura sia diventata per lei un atto di resistenza, di speranza e di amore infinito.
«Sopravvivere ad un figlio», ha esordito con parole che sembravano pesare come pietre ma allo stesso tempo brillare di una luce fragile e potente, «non è una scelta, è una condanna che ti strappa via ogni certezza, che ti trascina in un abisso di dolore senza fondo, un’esperienza che nessun genitore dovrebbe mai vivere». Ma proprio in quel buio, ha spiegato, si è aperta per lei una strada inaspettata, una via di salvezza: «La vera sfida non è solo sopravvivere, ma decidere cosa fare con quel dolore che ti consuma. Ho scelto di dare voce a quel silenzio assordante, di trasformare la sofferenza in parole, perché scrivere per me è diventato un modo per ricucire la ferita e per urlare senza voce».Poi,

con uno sguardo carico di ricordi e speranza, ha aggiunto: «Ho scelto la musica, quella che Filippo amava, quella che era parte di lui. La musica è diventata il linguaggio in cui il suo spirito continua a vivere, a vibrare, a toccare chi lo ha amato e chi non lo ha conosciuto. Attraverso le note, attraverso le parole che ho scritto, Filippo continua a camminare accanto a noi, invisibile ma presente, come una carezza silenziosa che consola e sostiene».Infine, ha concluso con un messaggio potente, rivolto non solo a chi ha vissuto un dolore simile, ma a tutta la comunità: «Ho scelto di fare qualcosa di concreto, di trasformare il vuoto in un ponte di speranza e di memoria, perché Filippo possa vivere non solo nei ricordi, ma attraverso le vite di chi accoglie la sua storia, attraverso ogni gesto di amore, di coraggio, di resistenza. Scrivo per chi non può più farlo, per dare voce a chi non ha più parole, perché nessuna vita si perda nel silenzio dell’oblio».
La musica che unisce: l’omaggio commovente a Filippo
Uno dei momenti più intensi della serata è stato l’omaggio sonoro dei fratelli Giovanni e Luigi Maria Renis, accompagnati da Monica Terlizzi alla tastiera. Hanno suonato la batteria che apparteneva a Filippo, restituendo voce a uno strumento che nella sua vita era simbolo di gioia, creatività e vitalità. Ogni rullata, ogni colpo sul tamburo sembrava evocare la presenza invisibile di Filippo, musica capace di emozionare, unire e guarire le ferite invisibili dell’anima.
Un libro che lascia un segno indelebile
La serata si è conclusa con la lettura di alcuni brani scelti dal libro, interpretati dall’insegnante Graziella Albani, seguita da un momento di incontro tra l’autrice e il pubblico. Firme, dediche, abbracci silenziosi: ognuno ha voluto lasciare un segno, esprimere gratitudine, condividere emozioni.
Sopravvivere ad un figlio non è solo un libro che racconta il dolore, ma è una luce che nasce dall’oscurità, un grido di una madre che non vuole dimenticare, una carezza che lenisce la ferita collettiva della perdita. È un invito a restare umani, a tenere viva la speranza, anche quando tutto sembra perduto.
Un libro. Una serata. Una comunità intera. Dove il dolore, davvero, si trasforma in luce.





