
La Lacedonia dei nostri fondatori e il fardello del Governo Nazionale
Taranto, una città con radici profonde e una storia affascinante, è spesso indicata come la Lacedonia dei nostri fondatori. Tuttavia, la sua storia è segnata da una continua lotta contro le difficoltà imposte dal Governo Nazionale. Questo dilemma si è intensificato con la fondazione dell’Italsider, un progetto industriale che, anziché portare prosperità duratura, ha contribuito a impoverire il territorio, privandolo di risorse e prospettive future.
Le ultime vicende del rigassificatore e la video call col ministro Urso del neosindaco Piero Bitetti mostra l’arroganza, o se volete la coerenza del passato, del governo. La posizione del ministro, in un incontro apparentemente contradditorio, è sostanzialmente questa: “non volete il rigassificatore? Lo porteremo altrove, ma sappiate che la decarbonizzazione si fa solo col gas. Quello della Tap è ancora in alto mare; quello di Tempa Rossa?Verificheremo disponibilità e soprattutto quantità. Un vicolo cieco.
La fondazione dell’Italsider: Illusioni e realtà
Nel 1961, con la creazione dell’Italsider (poi divenuta ILVA e poi ex Ilva), Taranto pareva destinata a diventare un cuore pulsante dell’industria siderurgica italiana. La promessa di crescita economica e di migliaia di posti di lavoro rappresentava un sogno per una città in cerca di riscatto. Tuttavia, questo sogno si è infranto mostrandosi ben presto un’illusione. L’imbroglio più lampante si svelò con il raddoppio del 1973 al quale si oppose solo la intellighenzia in un convegno di urbanisti. In un documento, svelato nel libro Pane e veleno del compianto giornalista Ciro Petrarulo delle PR Italsider, si narra che i tecnici del Ministero, nello stilare il documento finale inserirono una pagina in cui allertavano i cittadini che i problemi di impatto non si raddoppiavano, bensì si decuplicavano. Quella pagina a Roma fu stracciata.
Impatto ambientale e sanitario,
Le emissioni inquinanti prodotte dallo stabilimento hanno avuto un impatto devastante sull’ambiente e sulla salute dei residenti. Nel corso degli anni, numerosi studi hanno rilevato livelli di inquinamento preoccupanti, con conseguenze gravi sulla salute pubblica, tra cui un aumento dei casi di malattie respiratorie e tumori.
Il prezzo da pagare per la crescita industriale si è fatto sempre più pesante e visibile.
Declino economico e sociale
Oltre ai problemi ambientali e sanitari, Taranto ha dovuto affrontare una crisi economica e sociale crescente. Il calo della domanda di acciaio, la globalizzazione e la concorrenza hanno eroso la base economica della città, portando a chiusure di impianti, licenziamenti e disoccupazione. La promessa di posti di lavoro stabili e ben remunerati è svanita, lasciando una popolazione in difficoltà e un’economia in stallo. Dei sei milioni di tonnellate di acciaio, per il prossimo anno solo un milione e mezzo si riusciranno a produrre. Questo significa ancora cassa integrazione e disagio social che si riversa sulle famiglie.
Eppure, nonostante le difficoltà, Taranto non si è mai arresa. La città ha cercato di diversificare la propria economia, esplorando settori alternativi come il turismo, la cultura e l’agricoltura sostenibile. Iniziative locali e movimenti civici hanno cercato di valorizzare il patrimonio storico, archeologico e naturale. Ne abbiamo parlato presentando il libro della giornalista Tiziana Grassi sulle storie di chi investe nel territorio
Dobbiamo insistere su questa strada.
Concludo citando un magistrato che si è contraddistinto per la sua battaglia difficile contro un Golia dell’industria, il compianto Franco Sebastio, in un convegno pronunciò questa frase che restò impressa nella mia mente: “Chiunque con e per la sua attività industriale produca anche solo una morte è un criminale, perché il diritto alla vita è un diritto universale, inalienabile“.
Punto e basta!