
La sindrome dell’arto alieno, un disturbo neurologico raro che fa agire la mano in autonomia. Un racconto vero e una riflessione sulla coscienza del sé.
“Mi chiamo E., ho 63 anni. E la mia mano sinistra non mi riconosce più.”
Tutto è iniziato dopo un piccolo ictus. Il recupero sembrava regolare, finché una notte ho sentito qualcosa muoversi nel letto. Era la mia mano. Si alzava da sola.
Non ero in dormiveglia. Non era un sogno.
Stava davvero stringendo il lenzuolo come se volesse strapparlo.
All’inizio pensavo fosse un riflesso. Poi ha cominciato a buttare per terra la penna, a chiudere sportelli, a interrompere i miei gesti. Una volta ha afferrato il telecomando e l’ha lanciato via.
La chiamavo “lei”. Non per gioco. Perché non ero io. Quando cercavo di fermarla, si divincolava. Come un animale.
C’è stato un tempo in cui avevo paura della mia stessa mano.
Un medico, finalmente, mi disse il nome, sindrome dell’arto alieno.
Una diagnosi rara. Ma reale.
Da lì è cominciato un altro tipo di cammino.

Cos’è la sindrome dell’arto alieno
Si tratta di un disturbo neurologico raro, documentato per la prima volta nel Novecento, che si manifesta quando un arto – spesso la mano – agisce in modo autonomo, senza controllo volontario da parte del soggetto. Non si tratta di un tic né di una paralisi, la persona ha sensibilità e forza, ma non decide. L’arto si muove “da solo”, come animato da una volontà estranea.
Le cause? Lesioni cerebrali, interventi neurochirurgici, ictus o patologie che colpiscono il corpo calloso, la corteccia frontale o il lobo parietale. Ma più della diagnosi clinica colpisce il vissuto, chi ne è affetto parla di vergogna, paura, isolamento. Spesso viene scambiato per malattia psichiatrica.
Quando il corpo si ribella alla mente
La sindrome dell’arto alieno è più di una disfunzione neurologica, è una crepa nell’idea che abbiamo di noi stessi. Ci mostra che la coscienza non è un blocco unico, e che anche dentro un corpo sano possono convivere più volontà, più direzioni, più identità motorie.
La mano che si ribella è il simbolo perfetto della nostra fragilità, ci illudiamo di controllare tutto, ma basta un piccolo corto circuito perché qualcosa prenda il sopravvento. Un gesto, un pensiero, un istinto.
E. oggi
“Sto facendo fisioterapia. Non so se tornerò a sentirmi tutto intero. Ma ho capito che non sono pazzo. Che quella mano non vuole farmi del male. Forse vuole solo essere ascoltata.”