Principale Cronaca Medici aggrediti in guardia medica: la solitudine di chi cura

Medici aggrediti in guardia medica: la solitudine di chi cura

Ancora un’aggressione a un medico. L’ultimo episodio si è verificato sabato sera 14 giugno 2025 , nell’ambulatorio di guardia medica di piazzetta Federico Bottazzi a Lecce.

Un medico, in attesa del cambio turno, stava semplicemente spiegando a un paziente che sarebbe stato visitato a breve. Nessun ritardo, nessuna negligenza, solo un invito alla pazienza, nel rispetto delle esigenze di tutti. La risposta? Urla, insulti, minacce. E infine uno sputo, lanciato con rabbia attraverso la grata di protezione. Un gesto vile, spregevole, che ha costretto il medico a rifugiarsi in una stanza interna per mettersi al sicuro.

Tutto è stato ripreso dalle videocamere di sorveglianza e regolarmente denunciato alle autorità competenti. Ma il punto vero non è solo quello di raccogliere prove, sporgere denuncia o avviare un procedimento. Il punto vero è che questa, ormai, è diventata una pericolosa normalità.

Non è il primo caso. Non sarà, purtroppo, nemmeno l’ultimo se non si interviene seriamente. Episodi simili si ripetono in tutta Italia, troppo spesso nel silenzio generale. È l’ennesimo segnale di un sistema in crisi, che lascia scoperti proprio coloro che invece dovrebbero essere messi al centro: chi cura, chi soccorre, chi si spende per gli altri.

Chi sono i medici di guardia? Non sono automi o “sportelli sanitari” a disposizione 24 ore su 24. Sono donne e uomini con nomi, storie, famiglie, problemi, responsabilità enormi e turni pesanti sulle spalle. Persone che spesso lavorano in strutture isolate, con dispositivi di sicurezza minimi o inesistenti. Persone che, oltre alle emergenze mediche, si trovano a gestire anche l’aggressività, la frustrazione, la rabbia di chi si sente trascurato, abbandonato, tradito da un sistema sanitario sempre più fragile.

Eppure, quei medici sono lì. Sempre. Non solo per dovere contrattuale, ma per senso etico, per vocazione, per spirito civico. Perché nonostante tutto, nonostante i rischi e la stanchezza, credono ancora che prendersi cura degli altri sia un compito nobile, necessario, giusto.

Questi professionisti non cercano applausi, non vogliono medaglie o premi speciali. Vogliono solo rispetto. Vogliono lavorare in sicurezza. Vogliono poter dire “sto facendo il mio lavoro” senza rischiare minacce, aggressioni o, peggio, violenze fisiche.

Ma perché tutto questo odio? Da dove nasce questa rabbia cieca e devastante? Certamente il clima sociale si è deteriorato. La crisi economica, la sfiducia verso le istituzioni, la frustrazione per i servizi pubblici in affanno hanno generato una tensione crescente. A tutto questo si aggiunge una cultura sempre più povera di rispetto per i ruoli, per le competenze, per chi ha responsabilità.

Ma nessuna difficoltà, nessuna crisi, nessuna frustrazione può – e deve – trasformarsi in violenza. Un’aggressione a un medico non è solo un’offesa personale. È un attacco a tutta la comunità. È una ferita aperta nella relazione tra cittadini e istituzioni, tra società e sistema sanitario. È il segnale che abbiamo perso la misura di cosa significhi convivenza civile.

Un medico aggredito è una comunità che si ammala. Una società che non difende chi si prende cura di essa è una società che ha smarrito la strada.

Le leggi, in Italia, esistono. La normativa prevede pene aggravate per chi commette aggressioni contro operatori sanitari. Ma spesso le pene sono irrisorie, le procedure lente, i processi disarmanti. E la violenza cresce. I medici lo sanno e lo ripetono da tempo: servono pene certe, serve un segnale forte e chiaro.

Lo ha ribadito con forza anche Antonio De Maria, presidente dell’Ordine dei Medici di Lecce: «Serve l’arresto in flagranza differita. Serve un segnale forte. Un medico oggi non può nemmeno parlare senza il rischio di essere aggredito. Se va avanti così, ci scappa il morto.»

Non è un’iperbole, non è allarmismo: è una triste e concreta possibilità. E non possiamo far finta di niente.

Certo, i problemi del sistema sanitario esistono. Servizi in affanno, lunghe attese, carenza di personale. Chi sbaglia deve rispondere dei propri errori. Ma la fiducia va ricostruita anche valorizzando ciò che funziona. Ogni giorno, centinaia di medici lavorano in silenzio, risolvono problemi, ascoltano storie, si prendono cura di persone fragili. Lo fanno spesso con mezzi insufficienti e stipendi inadeguati. Lo fanno per scelta, non per obbligo.

Non vanno solo tollerati: vanno difesi, protetti, valorizzati. Perché la medicina non è solo una pratica tecnica. È relazione. È ascolto. È coraggio. È, soprattutto, umanità.

Chi cura ha il dovere di esserci. Ma anche il diritto di non avere paura.

Nel cuore della notte, in un ambulatorio isolato, un medico non può lavorare pensando che la prossima richiesta d’aiuto possa trasformarsi in un’aggressione. Questo deve essere un diritto garantito, non un privilegio.

Ogni aggressione è una sconfitta per tutti. Ogni insulto, ogni minaccia, ogni atto di violenza contro un medico o un operatore sanitario è una crepa nella dignità collettiva, nella fiducia reciproca, nella civiltà stessa di una comunità.

Nel 2025 non possiamo più permettere che tutto questo passi sotto silenzio. Non possiamo più chiudere gli occhi. Non possiamo più restare fermi.

Difendere i medici significa difendere il diritto alla salute. Significa proteggere la parte migliore del nostro vivere insieme. Perché curare non è solo un mestiere: è un atto di responsabilità verso l’umanità intera.

E chi si prende cura degli altri non deve più sentirsi solo. Mai più.

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