Principale Cronaca Maxiprocesso, Falcone e Borsellino

Maxiprocesso, Falcone e Borsellino

Nel giorno della strage di Capaci, ricordiamo due uomini che hanno avuto la forza di guardare la mafia negli occhi, senza mai abbassare lo sguardo.

Il 23 maggio non è un giorno qualsiasi. È una ferita aperta che ogni anno si riapre. Una di quelle che fanno ancora male, anche dopo trent’anni. Alle 17:58 del 1992, sull’autostrada che da Palermo porta all’aeroporto, la mafia fece saltare in aria 500 chili di tritolo. Morirono Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Due mesi dopo, il 19 luglio, toccò a Paolo Borsellino. Ucciso in via D’Amelio insieme a cinque agenti.

Erano amici, colleghi, fratelli nella lotta. Due persone semplici, umili, ma con un coraggio fuori dal comune.

Il Maxiprocesso: il primo vero colpo al cuore della mafia

Nel 1986 cominciò a Palermo il Maxiprocesso. Una parola grossa, che sa di impresa impossibile. Più di 400 imputati, centinaia di avvocati, un’aula bunker costruita apposta. Falcone e Borsellino, insieme a pochi altri magistrati coraggiosi, decisero che era ora di dire basta. Basta silenzi, basta paura, basta mafiosi che comandavano ovunque.

L’idea era semplice, ma rivoluzionaria: usare la legge per colpire la mafia. Niente chiacchiere, niente eroi. Solo giustizia.

Falcone, con pazienza e intelligenza, seguì i soldi. Scoprì i legami con la droga, i conti all’estero, i nomi. E grazie alle parole di Tommaso Buscetta, il primo pentito importante, riuscì a smontare il sistema di potere mafioso pezzo per pezzo.

Borsellino, instancabile, gli fu accanto sempre. Alla fine del processo, nel 1987, arrivarono 360 condanne e oltre 2.600 anni di carcere. La mafia, per la prima volta, era stata messa davvero alle corde.

Uomini normali, con una forza straordinaria

Falcone e Borsellino non erano supereroi. Avevano paura, come tutti. Sapevano di rischiare la vita ogni giorno. Ma andavano avanti lo stesso. Perché sapevano che la mafia si può battere solo se la si affronta. Con la schiena dritta.

Parlavano con la gente, con i ragazzi, con chi voleva capire. Borsellino diceva: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.” Eppure, quella paura ce l’avevano eccome. Solo che la mettevano da parte, per un bene più grande.

Oggi, tocca a noi.

Oggi siamo noi a dover portare avanti quella battaglia. Non servono toghe o titoli. Basta scegliere da che parte stare. Ricordarli non vuol dire solo fare memoria. Vuol dire comportarci da cittadini onesti, ogni giorno. Non voltarsi mai dall’altra parte. Denunciare, parlare, educare.

Falcone diceva: <La mafia è un fenomeno umano. Come tutti i fenomeni umani ha un inizio e avrà anche una fine.>.

Quella fine, se vogliamo, può cominciare da noi.

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