Principale Cronaca Il delitto di Garlasco e il prezzo della giustizia mediatica

Il delitto di Garlasco e il prezzo della giustizia mediatica

di Domitia di Crocco

Il delitto di Garlasco, che ha scosso l’Italia nel 2007 con l’omicidio brutale di Chiara Poggi, è diventato molto più di un caso di cronaca nera: è un simbolo. Un simbolo della lentezza della giustizia, del potere deformante dei media e della fragilità con cui si può passare, in questo Paese, da cittadino comune a “mostro” da prima pagina.

Dopo anni di processi, perizie, appelli e controappelli, Alberto Stasi è stato condannato in via definitiva nel 2015 a sedici anni di carcere. Ma l’intera vicenda – più che dare risposte – ha sollevato domande che ancora oggi meritano di essere poste. Il caso Garlasco ha messo a nudo i limiti della giustizia italiana, intrappolata in cavilli procedurali, consulenze tecniche contraddittorie e un continuo rimpallo tra colpevolezza e innocenza.

Al di là del merito giudiziario, ciò che colpisce è l’effetto devastante del circo mediatico. Per anni, la vita di Stasi – come quella dei familiari di Chiara – è stata sezionata, analizzata, giudicata in televisione e sui social. Il processo parallelo, quello dell’opinione pubblica, ha spesso anticipato e influenzato il racconto dei fatti, trasformando l’informazione in spettacolo, la tragedia in fiction.

Ma il delitto di Garlasco è anche un caso-scuola sul rapporto tra scienza e giustizia. Le perizie scientifiche, anziché fare chiarezza, hanno spesso generato ulteriori dubbi. Emblematico il dibattito sull’impronta della bici, sull’orario della morte, sulle tracce biologiche mai trovate. Quando la verità processuale si fonda su elementi così fragili e contestabili, il rischio è che la giustizia venga percepita come un gioco d’azzardo.

Eppure, in mezzo a questo caos, ci sono sempre due famiglie distrutte. Da un lato chi ha perso una figlia, dall’altro chi ha visto un figlio condannato dopo otto anni di libertà e incertezza. Due dolori diversi, ma entrambi profondi, entrambi irrimediabili.

Il caso Garlasco dovrebbe farci riflettere non solo sul “chi” e sul “come”, ma soprattutto sul “perché”. Perché la giustizia è così lenta? Perché la verità è diventata così difficile da afferrare? E, soprattutto, perché siamo così attratti dal dolore altrui da trasformarlo in intrattenimento?

Finché queste domande resteranno senza risposta, ogni nuovo caso rischierà di diventare solo l’ennesimo “delitto di…”, un format riciclato dove, ancora una volta, a perdere sarà la verità.

foto Nicola Porro

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