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Se vuoi la pace, addestra alla guerra?

Bandiera blu delle Nazioni Unite con il logo ufficiale bianco.
La bandiera ufficiale delle Nazioni Unite, simbolo di pace e cooperazione internazionale.
Se vuoi la pace, addestra alla guerra? Il paradosso armato di Platone e la sua pericolosa attualizzazione

“La guerra non si può umanizzare. Si può solo abolire.” – Albert Einstein

L’interpretazione bellicista del pensiero platonico, così come esposta su Il Foglio del 24 aprile, è una distorsione ideologica che svilisce il cuore filosofico della sua opera e strizza l’occhio a un realismo politico miope, strumentale e profondamente inquietante.

Innanzitutto, l’uso della frase “Se vuoi la pace, prepara la guerra” come se fosse un’espressione platonica autentica, è intellettualmente disonesto. Non solo è una deformazione storica – la locuzione è attribuita a Vegezio, scrittore romano tardoantico – ma è anche sintomatica di una volontà di piegare Platone a un’agenda ideologica contemporanea, legittimando la militarizzazione perenne della società con l’autorità di un classico. Questo tipo di anacronismo non è un’innocente suggestione: è una forma di propaganda.

È vero, nelle Leggi troviamo affermazioni che sottolineano l’importanza dell’addestramento militare. Ma è altrettanto vero che si tratta di un dialogo complesso, scritto in tarda età, intriso di ambiguità, con interlocutori diversi e nessun portavoce chiaro e diretto dell’autore. Ridurre l’intera architettura concettuale di Platone a un invito permanente alle esercitazioni belliche è come leggere La Repubblica pensando che il fine ultimo sia la censura delle arti. È una visione parziale, strumentale, e francamente pericolosa.

L’esaltazione del modello israeliano come ideale platonico realizzato è altrettanto problematica. Non solo ignora le profonde contraddizioni e tensioni sociali di Israele, ma propone come esempio virtuoso una società in cui la leva obbligatoria e l’addestramento permanente sono parte integrante di un conflitto mai davvero risolto. Elevare questa condizione a modello europeo significa auspicare una continentalizzazione del militarismo, come se la coesione sociale si potesse costruire solo con la disciplina delle armi e non con la cultura, il dialogo, la giustizia sociale, l’inclusione.

Inoltre, la retorica del “cementare la comunità” attraverso il cameratismo bellico puzza di nostalgia autoritaria. Si tratta dello stesso argomento utilizzato nei regimi del Novecento per giustificare la militarizzazione giovanile, dall’Italia fascista all’URSS staliniana. Dietro la facciata di un ordine “virile” e coeso, si nasconde il sogno tossico della società disciplinata, docile, marziale.

Infine, sostenere che l’Europa per esistere debba “preparare il suo esercito” è l’opposto di ciò che dovrebbe essere il progetto europeo. L’Unione nasce come reazione ai disastri della guerra. L’Europa è – o dovrebbe essere – il laboratorio politico della pace attraverso l’integrazione, la diplomazia, il diritto, non una caserma continentale che addestra bambini alla resistenza fisica nel nome di un’unità forgiata dal sudore e dalla marcia.

In conclusione, evocare Platone per legittimare un’Europa militarizzata è un esercizio intellettualmente povero e politicamente pericoloso. Non abbiamo bisogno di una pace armata. Abbiamo bisogno di una pace giusta, civile, fondata sulla cooperazione, non sull’addestramento. Perché se la pace è solo una forma latente di guerra, allora è già finita prima di cominciare.

Carlo Di Stanislao

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