
Editoriale a cura di Davide Tommasi
Galatina è scossa. E non solo per il fatto in sé, ma per ciò che rappresenta. Un ragazzo tunisino, con disabilità, è stato brutalmente aggredito da una baby gang nei pressi della stazione ferroviaria della città. Calci, pugni, umiliazioni. Un pestaggio feroce che ha trovato eco nei social, dove è stato pubblicato un video inquietante: le immagini mostrano il giovane inerme, vittima della violenza di un branco senza freni. E il paradosso è che proprio gli aggressori, nella convinzione di fare spettacolo, hanno diffuso loro stessi il video dell’aggressione.
Ma stavolta, quella che doveva essere un’esibizione di forza e prevaricazione, è diventata una prova schiacciante. Le stesse immagini pubblicate sui social sono oggi lo strumento principale con cui le forze dell’ordine stanno risalendo all’identità dei responsabili.
Viviamo in un tempo in cui la violenza viene filmata, condivisa, talvolta anche celebrata. Ma questo tempo può essere ribaltato. E così la rete, spesso luogo di odio e sopraffazione, diventa mezzo di denuncia e giustizia. È un cortocircuito culturale, una contraddizione figlia della nostra epoca: chi compie gesti orrendi, spesso si tradisce da solo, nella vana ricerca di visibilità. Il caso ha ormai superato i confini locali, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale. Tra le voci che hanno contribuito
a far esplodere il dibattito, c’è quella – controversa – di Fabrizio Corona, ex paparazzo e oggi influencer mediatico, che ha pubblicato sulle proprie pagine social i presunti nomi e le foto profilo degli aggressori. Con toni durissimi, provocatori, ha scritto: Una frase che ha sollevato un’ondata di commenti, riflessioni, ma anche critiche. C’è chi l’ha vista come un modo per dare voce alla rabbia collettiva, e chi invece ha condannato il rischio di trasformare tutto in una pubblica gogna. Ma una cosa è certa: l’indignazione è ormai generale. E non è più tempo di silenzi.
Il ragazzo aggredito vive oggi, con la sua famiglia, un presente difficile, segnato dalla paura e dall’insicurezza. Ma non sono soli. Galatina, nei giorni successivi all’accaduto, ha mostrato il suo lato più vero: quello umano, solidale, dignitoso. Abbiamo raccolto le parole commosse del Sindaco di Galatina,
Fabio Vergine, che ha voluto lanciare un messaggio di equilibrio, fermezza e speranza:“Non dobbiamo fare una lotta al massacro. Non tutti i ragazzi sono bulli. Anzi, tra le lacrime, alcuni di loro mi hanno detto: ‘Noi non siamo come loro’. E questo mi dà speranza. Come amministrazione – ha aggiunto – se ci verrà chiesto, non esiteremo a costituirci parte civile. Galatina deve dare un segnale chiaro di vicinanza alla vittima e di netta condanna verso chi ha scelto la via della violenza.”Una riflessione che invita a distinguere, a non generalizzare. Perché se è vero che esistono ragazzi capaci di violenza gratuita, è altrettanto vero che esistono giovani sensibili, responsabili, pronti a prendere posizione. Ed è da loro che dobbiamo ripartire.
È ora di dire basta. No al bullismo. No alla violenza. No all’indifferenza.
Non bastano più le parole di condanna. Occorre un’azione corale. Serve un patto educativo che coinvolga genitori, insegnanti, ragazzi, istituzioni, forze dell’ordine, associazioni, media. Tutti, nessuno escluso. Perché quando un minore aggredisce un altro minore, qualcosa si è rotto non solo in lui, ma anche nel sistema che avrebbe dovuto proteggerlo, educarlo, guidarlo. “Bisogna agire tutti insieme”, ribadisce il Sindaco. “Questi episodi non si combattono solo con la repressione, ma con l’educazione, con l’esempio, con il coraggio di schierarsi dalla parte giusta.” E allora facciamolo. Schieriamoci. Non giriamo lo sguardo dall’altra parte, non lasciamo che il clamore svanisca come un’eco lontana. Costruiamo, da questo orrore, un’occasione di riscatto collettivo. Alla famiglia della vittima diciamo: non siete soli. A chi ha denunciato: avete fatto la cosa giusta. A chi invece ha condiviso il video per ridere o per spettacolarizzare: sappiate che ogni gesto online ha un peso, una responsabilità. Morale, oltre che penale. Da Galatina, una città ferita ma viva, deve partire un segnale chiaro : Forte, coeso, consapevole. Perché chi alza le mani troverà di fronte una città che alza la testa.





