Principale Arte, Cultura & Società Gabriella Sica: La poesia è empatia (riflessioni sull’antologia Poeti Empatici Italiani)

Gabriella Sica: La poesia è empatia (riflessioni sull’antologia Poeti Empatici Italiani)

Poeti Empatici Italiani è il titolo di una recente e corposa antologia, edita da Genesi, ben leggibile nella sua varietà, nata sulle ceneri della pandemia e curata da un giovane studioso e poeta, Menotti Lerro, che ha cercato sempre di uscire dai confini, anche da quelli che sono il margine o l’obliquo, il dettaglio o il laterale, uscire dal proprio io ed entrare in contatto con l’altro, oltre ogni geografia. Vuole insomma sconfinare, come hanno fatto molti giovani laureati emigrati all’estero, che ora vogliono sconfinare in patria.

Da qui ha elaborato un singolare e interessante movimento dell’Empatia, fondato su una parola antica, per la precisione greca, parente per lingua di antipatia e di simpatia, ma a differenza di queste molto in uso da sempre nel parlato ordinario e poco in quello letterario, magari nella prosa dei poeti ma certo non nella loro poesia. Non nella poesia di Petrarca o Leopardi e neppure di Pascoli. Figuriamoci allora la parola empatia, entrata come novità nella lingua odierna e in un tempo di individualisti a designare un moto necessario ed etico nei confronti dell’altro, ed entrata finora più nella filosofia (vedi Emmanuel Lévinas) che nella poesia.

E non è l’empatia un moto molto umano, proprio di donne e uomini semplici, di cui dovrebbero essere maestri i poeti, chi più chi meno? Empatia viene da in-pathos, entrare nell’altro, riconoscere il dolore dell’altro. Uscire dal proprio ego perché mettersi nei panni degli altri aiuta chi inaugura quel moto speciale e chi lo riceve. Dante ne conosceva la traiettoria e aveva per questo coniato parole formate dalla preposizione “in” e dal pronome “lui” o “lei” “tu” o “me” come inluarsi, inlearsi o intuarsi o immiarsi. Queste costruzioni verbali di Dante vogliono manifestare la fusione degli esseri nel cielo di Venere dominato dall’amore. Nel IX del Paradiso Dante scrive: “Già non attenderei io tua dimanda, / s’io m’intuassi, come tu t’inmii”. Nello stesso canto: “Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia”. Un’empatia divina quella di Dante. Noi abbiamo appena la possibilità di un’empatia umana, tra uomini e donne, anche se a volte anche questa ha del miracoloso, per esempio nella poesia.

La mia pace, qui antologizzata tra gli empatici, ne propone un esempio quasi visivo, come scrive Lerro: «In affanno è anche l’io poetante di Gabriella Sica che siede infelice «su uno scalino / in piazza e che rifiata solo allorquando appare alla sua vista l’altro, agognato e raro, capace di smorzarne l’oppressione del petto. La stessa poesia diventa una piccola consolazione di cui si farebbe volentieri a meno. Basterebbe invece “un ragazzo sensibile / col sangue nuovo e caldo / gli occhi belli” per convincerla “di bruciare infine al sole tutte le poesie”».

4 aprile 2025

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