Principale Arte, Cultura & Società Menotti Lerro: La mia “Primavera” per la Giornata Mondiale della Poesia 2025

Menotti Lerro: La mia “Primavera” per la Giornata Mondiale della Poesia 2025

Giornata Mondiale della Poesia – Poesia Contemporanea

PRIMAVERA (POESIE 1997-2007) di Menotti Lerro

“Piccole luci tremolanti / Riverberano nel pozzo del giardino sfiorito, / Incatenano gli occhi della sirena: / Madre che ci lasciasti cucito il cuore / Annerito dalle lingue dei corvi. / Voleranno ancora le rondini bianche, / Erano così nei nostri sogni / Rumorosi e pazzi / Aghi spezzati a primavera.”

– Premessa alla prima edizione (2008)

Le poesie racchiuse nella sezione Tra-vestito e l’anima simboleggiano la fine di quella che definirei la mia primavera, sia come uomo che come umile artista. Una primavera che ha avuto spesso i caratteri burrascosi di stagioni ben più rigide, ma che non ha negato al mio essere gli elementi e gli avvenimenti tipici della stagione per eccellenza.

“In primavera si lavora male, certamente; e perché? Perché si è aperti alle sensazioni. [ … ]. Se quello che avete da dire vi preme troppo, se il vostro cuore palpita con troppo slancio a suo riguardo, allora potete esser certa di un fiasco completo. Cadrete nel patetico, nel sentimentale; qualcosa di pesante, di goffamente serio, di non dominato, non ironico, scipito, noioso, banale uscirà dalle vostre mani, e per concludere non otterrete che indifferenza tra il pubblico e delusione e desolazione in voi stessa… Proprio così Lisaveta: il sentimento, il caldo e cordiale sentimento è sempre banale, inservibile; soltanto le esacerbazioni, le fredde estati del nostro corrotto sistema nervoso di “artisti” sono valevoli ai fini dell’arte.”

Ecco quanto afferma Thomas Mann attraverso le parole del personaggio Tonio Kröger, sottolineando l’importanza per il poeta di spezzare il binomio arte/vita, i sentimenti dalla propria opera artistica. Eco gli faranno, in seguito, Thomas Stearns Eliot, Benedetto Croce e tanti altri, proponendo un’arte “impersonale”. I sentimenti, infatti, in poesia (come nella vita) a volte possono essere “pericolosi”, poiché arrivano nella loro volontà di espressione e appagamento a guastare il verso, conferendogli spesso un’aurea patetica e goffa. Anch’io purtroppo – come accade forse a tutti i giovani aspiranti artisti – sono stato vittima del sentimentalismo quasi incontrollato ed i miei versi, di rimando, si sono spesso nutriti di quella che mi appariva allora un’aria salvifica e che forse, per certi aspetti, lo è anche stata.

La voglia di raccontare i miei sentimenti e la storia personale ha, infatti, scandito la mia produzione (sebbene sempre abbia cercato di conferire alle mie emozioni private dei caratteri che potessero renderle universali, poiché certo che questa fosse l’unica via per dare dignità artistica ai sentimenti). Accade per caso che ti accorgi che la primavera è finita, passata così, velocemente, (non senza rammarico, rimpianti e pentimenti) durata quanto il tempo che intercorre tra un bocciolo chiuso e il suo schiudersi. Ed ecco che ti rendi conto di essere in un tempo nuovo, in una nuova sconosciuta stagione. 

La presa di coscienza è arrivata mentre assemblavo le varie parti di questa raccolta, analizzando casualmente me stesso, i miei versi passati così fortemente caratterizzati da metafore, inversioni sintattiche, ossimori, metonimie, parole ricercate, rime, assonanze, anafore… Mi accorgo, inoltre, che in qualche mia poesia ritrovo Shakespeare, Dante o magari Petrarca, Leopardi… sono tanti i poeti della mia primavera. La loro poesia ha nutrito la mia poesia e non me ne vergogno, poiché sono certo che sia giusto così – dato che la letteratura da sempre si nutre di altra letteratura – e che la primavera sia anche questo. È questa la stagione che apre il cuore ai sentimenti e rappresenta a sua volta il mare dei sentimenti e, dunque, li contiene tutti: dai grandi infiniti amori, alle “certezze” sul proprio futuro, dalle amicizie incondizionate, agli uomini idealizzati e adottati come modelli di vita.

Ma la primavera è anche un’illusione e al suo sciogliersi ci si accorge presto che le grandi utopie, la poesia tout court, probabilmente non esistono, né nella vita quotidiana né sulle carte del cuore. La primavera è una stagione incerta, bugiarda, anticamera di quella che sarà l’estate, simbolo della maturità. Questi anni di apprendistato rappresentano una tappa fondamentale nella vita degli uomini e degli artisti. È questo il tempo di gettare le basi e chi non lo ha fatto o non lo ha fatto bene, non avrà probabilmente molte altre chances. L’arte, dunque, segue parallelamente il crescere del corpo, nutrendosi e formandosi in questi anni chiave. L’amore primaverile, ad esempio, è un amore folle, ricco di elementi sognanti ed aulici, spesso platonico. Con l’“estate”, non di rado, tutto cambia: ciò che ci appariva poetico non ci sembra più tale ed ecco spuntare un amore carnale, più freddo e razionale, fatto anche di ironia, materia, sangue allo stato puro. 

Finalmente, direi, uscendo dalla stagione dei sentimenti, gli occhi iniziano a vedere e si nota che il mondo è più buio di quanto credessimo; ci si accorge, tra l’altro, che non esistono regole né canoni che imprigionano e classificano parole più adatte o meno adatte in poesia come nella vita, ma che tutte possono dare un effetto artistico se ben cesellate le une alle altre. Oggi comprendo che l’estate è arrivata e che l’anima non è più la verità assoluta. L’anima, se esiste, è solo una parte del corpo.

– Prologo alla seconda edizione (2017)

Sono passati dieci anni e rileggendo in un tumulto di sentimenti questi versi – a volte infangati negli abissi della memoria, altre così lontani dal mio attuale sentire che quasi non sembrano appartenermi – mi accorgo di come già una seconda stagione volga ineluttabilmente al tramonto, sebbene fuori da questa finestra senza tempo di Omignano il sole dell’estate si mostri a me ancora alto e vigoroso in mezzo a un cielo che ha saputo regalarmi tanti sogni. Di questa prima età della mia esistenza di uomo e di artista, non cambierei niente, o forse tutto, ma correggo ora solo ciò che mi è concesso: qualche virgola, un sostantivo, un verbo, qualche refuso.

Ciò che è veramente mutato senza che io lo volessi sono i sentimenti che suscitano ora in me queste poesie; e direi che non è propriamente vero che sprigionano oggi gli stessi profumi di allora, come direbbe T. S. Eliot a cui credetti al punto da dedicargli una dissertazione: correva l’anno 2004 e il Novecento sembrava non poter essere dimenticato o sovvertito o innovato. Ma forse ci stavamo sbagliando e a dirlo saranno coloro che verranno dopo di noi perché noi – almeno io – con il tempo abbiamo sviluppato solo dubbi e incertezze e dunque non proveremo più a dare risposte univoche.

Come altre mille volte, mi chiedo per quali misteriose ragioni sia diventato poeta e perché abbia così voluto usare tanta parte del misero tempo che ci è stato concesso per scrivere. Eppure, ahimé, non ho trovato nulla che mi abbia appassionato di più – se non forse qualche amore – o che abbia meglio edulcorato le infinite vibrazioni del vulcano che ho nel petto. Mi è toccato pertanto seguire la strada – stavo per dire dannazione – che è stata di tanti ben più nobili predecessori e che ormai, alla soglia dei miei quarant’anni, so che percorrerò fino in fondo. Forse perché quando si nasce in gabbia è lì che si vuole rimanere anche se si potrebbe fuggire. Forse perché, in un mondo ingiusto, è proprio una prigione di versi la più grande libertà che avrei potuto avere.

                                                                                                                                     M.L. (Omignano, 2 agosto 2017)

– Prefazione di Roberto Carifi

Menotti Lerro ha nel cuore un pianto, un pianto acuto e sottile che lo accompagna, che gli fa compagnia e che di punto in bianco si tramuta in riso. La poetica di Lerro consiste in questo, riso e pianto, e in mezzo c’è l’orrore sordo, senza parole, che si interroga come si interroga il silenzio, al quale ci si rivolge come alla morte. Primavera raccoglie testi che vanno dal 1997 al 2007, da Ceppi incerti alle ultime poesie che dovrebbero costituire l’apice di questa antologia, la Maturità che la conclude. Ma anche se il passaggio da una raccolta all’altra costituisce un progresso, soprattutto sul piano del linguaggio, rimane il dolore la tonalità di fondo di queste poesie, il dolore e l’orrore che percorrono tutto il libro.

“Poesia, Amore: significanti/di corpi che non sanno di esser morti”. Questo è uno degli ultimi versi, Tra-vestito e l’anima, ma potrebbe rivelarsi emblematico di tutta quanta la raccolta, prendere l’essere-per-la-morte come primo e insuperabile punto di vista, la morte che è l’originario status del nostro essere nel mondo, che dà al mondo il suo significato più chiaro e autentico. “Siamo carcasse negli angoli delle strade trucidate”, dice un altro verso, e qui accanto alla morte si consuma qualcosa di sordido, “sangue aggrumato che scorre sulle zampe”, dove forse l’umano è ridotto al bestiale, dove l’umano e il bestiale si confondono.

Menotti Lerro percorre il labirinto dell’essenza umana fino al corpo in frantumi, fino a pezzi di corpo che indicano l’umano e lo negano, fino al grido che può tramutarsi in canto.

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