Principale Arte, Cultura & Società Davide Rondoni: Prefazione a “Decanto” di Menotti Lerro, Ladolfi 2017

Davide Rondoni: Prefazione a “Decanto” di Menotti Lerro, Ladolfi 2017

(Decanto, Ladolfi, 2017 – poesia contemporanea)

Di Davide Rondoni – “Per la notte di Menotti Lerro”

Cosa infuria in questa voce o cosa scende ai gradi più infernali e ironici del risentimento? Quale forza si muove e che cosa, tra ebbrezza e lucidità, attinge dai bauli strapieni della poesia per suonare, per de-cantare in versi qualcosa di libero e amaro? Una notte in vino veritas, una scorribanda nei luoghi natii e in quelli abitati durante il viaggio dell’esistenza. Una notte, o una vita, che si fa fantasma e avvocato? Cosa avviene allo scrittore di versi in queste pagine? Sta regolando i suoi conti con il buio? Sta sputando il risentimento contro una presunta e distratta società letteraria? O sta cercando – come succede sempre nella poesia – il segreto che lega il particolare di una vita, drammatica e limitata, all’assoluto?
«Ma lei esiste » dice, o mormora, la voce rotta o forse incantata, che abita questo libro. Ed è vano provare a distinguere di chi stia parlando. Quella donna? La poesia? O quella cosa che la notte cerca sempre come una lupa…
Menotti Lerro batte il suo verso su vari materiali. Componendo, è vero, un’unità di Decanto, di sorta di anti-canto che è al tempo stesso decantazione di rabbie, forse di ebrietudini, di dolori recenti e remoti, ma anche di finzioni e gioco letterario.
Una poesia che appare lontana dai toni dimessi – più di vita sfibrata che di vita decantata – di parecchia poesia italiana contemporanea. Quella con cui tra l’altro, in versi satirici, Lerro se la prende.
Ma la varietà dei toni è uno dei pregi di questo agile libretto – notte all’inferno e terra desolata sulla costa cilentana e nella metropoli milanese. E accanto allo sferzante stile dell’ironia (e dell’auto-ironia) troviamo i momenti sospesi di una lirica, pur sempre pensosa e vibrante:
“L’amore, cos’è l’amore? Mano che cuce,
voce genuflessa nella stanza.”
Che cosa dunque decanta il poeta, diventando canto pur se da direzioni diverse alle consuete nostrane (Lerro è studioso di orizzonti ampi e traduttore)? Una rabbia, una grandiosa solitudine? Una scontrosa pena per lo stato della poesia, della condizione umana e della propria esistenza?
“Nudo, a un tavolo consunto, scrivo questo marasma d’agosto, sfioro la pipa in disuso, ripenso ai corpi dai contorni rimodellati dall’instabilità della memoria, traboccante travaglio che consola. Alcuni gesti sono luci, altri spade.”
O forse è la poesia, proprio lei, nella sua plastica forza, nella sua violenza, nella sua macina e gentilezza, a essere elemento che fa decantare, che separa l’elemento di valore dal vino infuocato di una notte o di una vita febbrile, in inseguimento vorace…
Di certo a noi lettori liberi da pregiudizi, non assuefatti al tran-tran di troppa poesia cosiddetta “nuova”, e invece vecchissima, arriva l’energia potente di una parola in ricerca, di una tensione nervosa e gnoseologica che non temono l’azzardo e nella notte, a tentoni, sanno che “lei esiste”. Non c’è estate di solitudini, non c’è letteratura morta o spenta che possa occultare del tutto la traccia di lei. Lei che “esiste”, come per gli antichi poeti trovatori esisteva l’allodola, quasi invisibile voce dell’alba, termine della notte. Quando tutto si parifica e illumina nella grande possibilità dell’inizio…
Quando il corpo si fa cosa l’anima inizia a respirare, s’incammina verso il basso tra le molecole oscure per sentirsi, da ultimo, parte della terra su cui ha barcollato.

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