Principale Arte, Cultura & Società Gioventù buttata e civiltà delle piccole cose

Gioventù buttata e civiltà delle piccole cose

«Il carretto passava, e quell’uomo» cioè l’inizio di una delle più famose canzoni del duo BattistiMogol ma che era pure l’inizio di un nostro articolo ritardatario rispetto all’ imprimatur dato per il numero, a breve in edicola, del trentennale e ammirato mensile LA PIAZZA di Giovinazzo a cui collaboriamo.  Pezzo che poi abbiamo pensato di non rinviare per farne anche un’utile ed emblematica sineddoche (il piccolo che spiega il grande) pubblicandolo qui per dargli maggiore diffusione. E comunque, quella dell’inizio, è praticamente una quasi colonna sonora di un nostro personale trip mentale, quando è proprio il rumore di ruote gommate, amplificato dai luoghi e dalle chianche sconnesse della stretta via di casa, quello che molte mattine ci sveglia riportandoci alla realtà e alla vita quotidiana da affrontare.

Quella vita, per tutti e salute permettendo, fatta di davvero mille cose: quegli «intrichi» che vanno dagli impegni lavorativi e sociali, al lavaggio di indumenti, piatti e pavimenti e alla lista della spesa, oppure all’assillo di controllare bolli, bollette e scadenze varie di abbonamenti e tasse. Cioè quella sottrazione aggiuntiva al sempre poco danaro e tempo a disposizione della maggior parte dei comuni cittadini che un nostro illuminato amico commercialista, pensando anche alla nostra burocrazia, ha, con imperdibile sintesi, definito così: «il grande lavoro grigio non retribuito cui è costretto ogni cittadino italiano».

Per poi non dimenticare l’altra complicazione che proviene da quella che è quasi divenuta un’appendice artificiale del nostro corpo e del nostro cervello: «l’indispensabile smartphone» diario, cassaforte dei nostri segreti, improbabile lampada di Aladino delle nostre speranze e connessione col resto del mondo anche attraverso i social… proprio quelli che alla fine, paradossalmente, contribuiscono non poco a renderci più asociali di fatto, togliendoci spazio per cercare un sorriso o un dialogo vero tra la gente, perché ormai assorbiti in una dimensione che sta rendendo la vita sempre più distopica e virtuale. E non solo sul piano delle relazioni – anche le più personali, Amore compreso – ma pure come risposta per le più banali esigenze pratiche, dal cibo pronto a casa, agli acquisti on line: quelli che stanno distruggendo quel piccolo commercio, già compromesso dagli ipermercati, che regge tante famiglie e fatta di negozi ed esercizi dove un buon consiglio sul prodotto, la prova di un qualsiasi capo o la spiegazione di come funzioni ciò che si compera, possono pure godere della garanzia di chi lo vende, pena la perdita di un cliente fidelizzato.

Sì, piaccia o non piaccia, siamo diventati schiavi della tecnologia e dei suoi strumenti, ma, ancor peggio, siamo esposti al grave pericolo di una manipolazione di massa del nostro pensiero che mette a rischio la nostra libertà, e persino la democrazia, grazie a un’Intelligenza Artificiale che è la vera, grande sfida per il futuro con cui l’Umanità è bene che cominci a fare immediatamente i conti perché è già forse troppo tardi. E che sia una minaccia quanto mai concreta, giusto per rimanere nel nostro, ce lo dicono gli 80 milioni di SIM su una popolazione di meno 60 milioni di italiani e il 40% di utilizzatori di smartphone per circa 8 ore al giorno.

Quanto basta a spiegare il preoccupante dato – in aumento costante – di quel 28 % di persone che soffrono di qualche forma di malessere o disturbo mentale e il disorientamento assoluto di quella ampia fascia, particolarmente vulnerabile, di giovani che si sono trovati a vivere l’età più critica della loro crescita, ma imprigionati in casa a causa di quel non sappiamo ancora quanto giustificato e giustificabile lockdown – ineffabile vaccinazione di massa compresa – impostoci per legge.

Eccoci così al popolo dei Millenials e Centennials, quella  «la gioventù buttata»  che si vede ai tavolini dei bar, ritrovi o nelle discoteche a consumare spritz e alcol, quando non droghe sempre più diffuse e ormai quasi in libera vendita, per cercare di dimenticare solitudine, delusione, mancanza di grandi prospettive … e a una Generazione Alpha che sta già crescendo a rischio di confusione persino circa la propria identità naturale (basti pensare alle «scientificamente infondate “teorie gender”» che si cercano persino di introdurre come insegnamento nelle scuole) e a cui si sta togliendo poco alla volta qualsiasi riferimento, vista la demolizione sistematica ad opera del “pensiero unico” di tutti quei valori che possiamo sintetizzare, volendoci fermare a due sole citazioni, nella celeberrima frase che Kant ha voluto addirittura scritta sulla sua lapide circa «… la legge morale» dentro di lui, oppure nell’altrettanto famosa massima di  Voltaire: «Se non ci fosse Dio bisognerebbe inventarlo».

Ma ora tornando a quel «…carretto» dell’immortale «I giardini di marzo» di Battistino, nessun carretto per gelati, come quelli per cui peraltro Giovinazzo è famosa addirittura nel Sud, né nemmeno è un carretto quello di cui stiamo parlando, bensì un carrello per la raccolta differenziata che fa di questa cittadina un esempio virtuoso. E «… nessun uomo che grida» ma un civilissimo signore – impossibile non definire così questo operatore ecologico – il quale, per non disturbare la quiete del bellissimo centro storico, parcheggia lontano il camion e, sempre attento a fare meno rumore possibile pure col suo carrello, bussa pure discretamente alla porta di qualche ritardatario cronico per raccogliere i suoi rifiuti di casa. Insomma l’esatto opposto di quel famoso «Molto rumore per nulla» che – per inciso – avvalora la tesi di uno Shakespeare più da considerare come un colto esule siciliano rifugiatosi in Inghilterra che come a un nativo di Stratford – upon – Avon.

Già, quell’appena citato «Molto rumore per nulla» che probabilmente qualche lettore ci rivolgerà come rimprovero per la lunghezza di questo pezzo scaturito dall’osservazione e dalla foto fatta di nascosto a un operatore ecologico mentre faceva il suo lavoro. E gli rispondiamo subito come fece l’indimenticabile Enzo Biagi che, commentando un articolo che elogiava il buon funzionamento di un ospedale pubblico, si chiese in che tempi stesse vivendo, laddove a fare notizia non erano più le cose che funzionavano male, ma quelle che funzionavano bene.

Questo lo spunto che alla fine ci ha portato a scrivere di un lavoratore che potrebbe fare con meno sforzo quanto richiestogli per contratto, restando comodamente nella cabina del suo camion (e portando lo stesso a casa lo stipendio) anziché sfidare persino le intemperie andando a piedi col suo carrello per rispetto degli altri e del quartiere che cura. E visto che di Biagi stiamo parlando e di un lavoratore esemplare, gli dedichiamo pure una frase citata da questo grande maestro del giornalismo che sembra proprio scritta apposta per tutti quelli che, come lui, svolgono con passione e il massimo impegno possibile il loro mestiere o professione che sia: «La Civiltà è quella cosa che fa una sedia impagliata sotto altrettanto bene che sopra».

Ma non ve la spieghiamo per farvi eventualmente riflettere sul suo profondo significato come – lo ammettiamo – abbiamo dovuto fare noi. La spiegazione non è poi così difficile se solo vi impegnate un po’ a cercarla. Ma se proprio non ce la fate rivolgetevi al nostro giornale, o a noi direttamente, e ve la daremo.

 Enrico Tedeschi

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