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Poesia contemporanea: Squarotti, su “Gli occhi sul tempo” di Menotti Lerro, Manni 2009

Prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti

La poesia di Menotti Lerro è la prova dell’infinita predicabilità della poesia: rapidamente concretata in sentenze, in squarci improvvisi, in giudizi drammatici e dolorosi, rigorosamente prosciugata fino alle proclamazioni di una disperata tragicità. Ben poco c’è intorno: paesaggi, emozioni, visioni sono bruciati immediatamente nel verso perché ben presto il discorso giunga all’essenziale del concetto, della realtà sempre cupa dell’esistenza e del mondo. Il discorso di Lerro ha un che sempre di febbrile, onde il verso arriva subito alla spiegazione e al giudizio. Del tempo Lerro coglie la velocità del trascorrere, e il senso di perdita pressoché istantanea di gioia, di spessore dell’esistenza, dei sensi e delle stesse aspirazioni e appartenenza delle cose, dei corpi, dei desideri, della durata. Tutto precipita verso il logoramento. La vita dolorosa com’è, è spesso tragica, non più che un’immagine che fugge via, un riflesso fulmineo, come una serie di riflessi nello specchio del tempo, che appare, allora, come un’illusione fragile (platonica: come quella delle figure che passano e scompaiono sulla parete della caverna illuminata), e lo spazio è anch’esso illusorio, come dice esemplarmente il primo componimento della raccolta: “Invecchiamo negli occhi della gente / o quando, nell’aprire un armadio, / lo specchio ci sorprende. / Invecchiamo immersi a mezzo busto nei nostri fiumi, quando scorrono le immagini tra mille pieghe; invecchiamo / nei riflessi perversi delle posate e dei bicchieri”. Il tempo non ha memoria: e il fiume di Eraclito non vede l’immergersi dell’uomo nel trascorrere della sua esistenza, ma soltanto un’immagine, infinitamente allora flebile e pallidissima. Tutto si disfà, anche i sogni che sono riflesso di un riflesso della mente, non visione, non invenzione: “Nulla ci appartiene / se non i sogni, le immagini confuse della notte, / le voci che più non distinguiamo”. Lo stesso possesso dei sogni è, però, fuggevole, ed essi si confondono e si smarriscono nel tempo senza spessore. Ripete, infatti, Lerro, fino alla verifica dell’impossibilità della memoria e di ogni rievocazione ed esperienza e incontro: “Se dovessi descrivere un solo volto, / uno, uno soltanto, / dei tanti volti incontrati lungo il mio cammino, / non saprei farlo. […] Sono assalito da un fatale sbriciolarsi delle linee / e di ogni corpo non resta in questa testa / che un’ombra, ombra oscura, / senza volto né voce”. È una rappresentazione tragica del mondo, tanto più incisivo e profondo quanto più ha, di fronte, la consapevolezza della perdita fulminea del tempo e del corpo e delle stesse apparizioni.
Reale rimane sempre il senso dello sparire di tutto: penso, come esempio quanto mai significativo, a questa mirabile riscrizione e reinvenzione della ballata delle dames du temps jadis di Villon: “Che ne è stato di quel chierichetto, / dei giochi coi gatti al sole? / Dove sono ora le preghiere confidate ai marmi, / le ostie sciolte con le penitenze? / Tutto è nebbia che avvolge le ossa”. Tutto quello che è stato si perde irrimediabilmente. La poesia di Lerro ripropone costantemente nella ricchezza delle variazioni delle occasioni e nella forma della pronuncia di cose ed eventi e delle persone e delle azioni lo sparire tragico di tutto, e qualche frammento di memoria non fa che acuire ulteriormente il correre della stessa parola pronunciata verso la dissoluzione (come dimostra anche la rievocazione del padre falegname e dei giochi dell’infanzia). Un testo come quello che inizia Vestiti sdruciti è il modello più efficace della rappresentazione del mondo come consunzione e dissoluzione delle cose come dei corpi. È un’elencazione che passa dall’indicazione delle notizie più semplici e comuni fino alla figurazione metafisica, con un risultato complessivo che tipicamente compendia il senso del mondo come Lerro lo vede e lo descrive. La stessa primavera si traduce dalla letizia dei voli e dei sogni nello spezzarsi dello slancio verso il futuro e le avventure (come dimostra Piccole luci tremolanti). L’infanzia della natura e dell’esistenza dura troppo poco: Lerro rinnova la proclamazione di Alexandros del Pascoli (“Il sogno è l’infinita ombra del vero”), ma il sogno gli appare anch’esso labile e fragile: è, sì, l’alternanza rispetto alla cancellazione del tempo e della troppo rapida conquista di novità e di gioia vitale nell’infanzia, ma è un desiderio in pericolo, è un’aspirazione, non garantisce proprio nulla, in quanto rimane contraddittorio e dubbioso (“Non ci resta che aggrapparci ai sogni, / all’ignoto”).
I pochi testi narrativi raccontano (e nel modo più essenziale e dolente) la realtà della crudeltà delle cronache del nostro mondo, anzi dell’intera vicenda dei secoli umani: “Gridava / la cagnetta punita, infettata. / «La vergogna non ha nome!» – ripeteva – / «solo odori, colori, dolori…». / In un deserto di fiori rossi cercava il dirupo, / la terra da scavare per seppellire il corpo”. C’è, in questa poesia, abbastanza evidente l’ossessione del disfacimento del corpo: al confronto non c’è l’anima, ma soltanto il sogno precario. Si legga la sentenza più veloce e rigorosa: “Poesia, Amore: significanti / di corpi che non sanno di esser morti”. Lo specchio è l’ombra di ombre, i corpi sono apparenze, le parole che furono rigorose e sacrali si sono disfatte. Concludo le mie osservazioni con una poesia narrativa di più ampio respiro, come proposta di una diversa scrittura nella costanza della tragicità del discorso: La storia di Alessia In-versi. Ha l’impostazione della ballata: la vicenda della vita di Alessia compendia tutta la serie di errori e di orrori, di disperazioni e di follia, di sogni e di sconfitte. La protagonista è colta in minimi eventi, ma sconvolgenti ed esemplari, e, subito dopo, in azioni e in situazioni di terribile pena e strazio. È un ulteriore esempio della significanza della ricerca poetica di Lerro: una lezione della disperazione della vita fatta parola, senza illusioni e conforti.

[Gli occhi sul tempo, Manni editore, 2009]

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