
Legambiente Taranto ha scritto al Commissario prefettizio del Comune di Taranto, la dottoressa Perrotta, chiedendo un incontro per illustrarle gli elementi che, secondo l’associazione, possono suffragare una azione amministrativa del Comune di Taranto, avversa al progetto di costruzione di un dissalatore che utilizzi le acque del fiume Tara, che dia seguito alle deliberazioni del Consiglio Comunale.
Rispetto al progetto, il principale riferimento sovraordinato è il Piano d’Ambito 2020-2045, approvato definitivamente nel 2023 ma elaborato a partire dal 2017, che considera tre alternative di progetto: 1) impianto di dissalazione del Tara, 2) dissalazione del Tara + condotta Sinni Potabile, 3) invaso Pappadai + impianto di potabilizzazione San Paolo, valutandole sulla base dei costi economici e dei risultati ottenibili a livello di portata globale del sistema, ma senza inserire nell’analisi i costi ambientali delle diverse alternative. Questo è un primo importante elemento di criticità.
A valle della determinazione del grado di soddisfacimento, è presente unicamente una semplice analisi qualitativa SWOT e non una più adeguata analisi quantitativa AHP (Analytic Hierarchy Process). La stessa analisi SWOT, inoltre, non prende in considerazione gli impatti ecologici sulle biocenosi del Tara, ma unicamente quelli paesaggistici e quelli relativi allo smaltimento della salamoia in mare, ma sempre senza quantificarli, rendendo di fatto impossibile un confronto, risultando anche per questo seriamente incompleta.
È poi di estrema importanza osservare come il contributo del dissalatore al sistema si supponga costante anche nello scenario di crisi massima, mentre questo non corrisponde alla realtà. Applicando il limite di prelievo previsto in Conferenza dei Servizi, che garantisce per due mesi un deflusso minimo di 1 m3/s, e considerando anche il contratto di prelievo di Acque del Sud destinato alla ex Ilva e ad usi agricoli, nei periodi di forte magra, che corrispondono alle condizioni di prolungata siccità, il contributo del dissalatore potrebbe azzerarsi. Si rischia di autorizzare un intervento che potrebbe non riuscire a produrre acqua potabile nei periodi di massima siccità e che negli altri periodi la produrrà ad un costo molto superiore rispetto a quello previsto nelle alternative. Siamo di fronte ad una grave distorsione valutativa che inficia i risultati del modello di soddisfacimento degli obiettivi di resilienza della rete idrica previsto nel Piano d’Ambito 2020-2045. Per effettuare una corretta analisi costi-benefici a nostro avviso è indispensabile conoscere a priori quale sia l’ipotesi di suddivisione della portata residua utilizzabile del Tara in caso di magra tra dissalatore, acciaieria ed usi agricoli,einserire tale dato di suddivisione, così come il dato del deflusso minimo vitale di 1 m3/s, all’interno del modello di soddisfacimento degli obiettivi nel Piano d’Ambito 2020-2045, in modo da confrontare i risultati con l’alternativa Pappadai-potabilizzatore San Paolo.
In ogni caso la suddetta analisi arrivava in alcune ipotesi ad indicare come scenario migliore, dal punto di vista ambientale ed economico, non quello della realizzazione del dissalatore sul Tara, ma quello che prevedeva la messa in funzione dell’invaso del Pappadai, previa realizzazione del potabilizzatore “San Paolo” e ripristino della funzionalità della condotta di adduzione dal Sinni. Le criticità indicate per questo scenario sono unicamente relative al livello organizzativo, ossia della coordinazione tra enti diversi, comprendendo, oltre ad AQP, anche il Consorzio di Bonifica d’Arneo e Acque del Sud.
Tra le alternative di progetto, inoltre, non vengono valutate due possibilità, fatte presenti da Legambiente Taranto, di cui occorre verificare la possibilità di inserimento all’interno del modello di soddisfacimento degli obiettivi nel Piano d’Ambito: la più importante è quella derivante dalla attivazione della traversa Sarmento, già esistente, che al momento non fornisce disponibilità in quanto sono in fase di completamento le opere di adduzione all’invaso del Monte Cotugno, capace di contribuire con circa 80 milioni di metri cubi di acqua – una quantità quadrupla rispetto a quella che si ipotizza possa derivare dal dissalatore sul Tara -al riempimento dell’invaso, da cui si diparte la canalizzazione del Sinni, che fornisce acqua a Taranto ed al Salento. Un’opera il cui apporto verrebbe massimizzato dalla messa in funzione dell’invaso Pappadai, “vaso d’espansione” della diga di Monte Cotugno, capace di immagazzinare le portate eccedenti nei periodi di piena per poi permetterne l’utilizzo differito nei momenti di massima necessità. Ad essi andrebbe aggiunto l’apporto che può rivenire dalla riparazione della condotta del Sauro, anch’esso affluente all’invaso di Monte Cotugno, che non fornisce disponibilità perché in fase di ricostruzione, pari a circa 30 milioni di metri cubi.
Crediamo infine vada stabilito che il Tara debba essere trattato come gli altri fiumi, per i quali la Direttiva 2000/60/CE prescrive di conseguire uno stato delle acque “BUONO” ed un buon potenziale ecologico. Invece, le previsioni dell’Aggiornamento 2015-2021 del Piano regionale di Tutela delle Acque, approvato con Deliberazione del Consiglio Regionale n. 154 del 23/05/2023, hanno stabilito una esenzione per l’obiettivo dello stato ecologico per il fiume Tara, ponendolo come solo “SUFFICIENTE al 2027”. In funzione di questa “deroga”, nell’ultima conferenza dei servizi è stato stabilito che, invece che garantire per tutti i dodici mesi il rilascio di portate idriche mai inferiori a 2 metri cubi al secondo, la portata rilasciata per il Deflusso Ecologico potrà assumere un valore minore, con limite minimo di un metro cubo al secondo, per 2 mesi all’anno.
In questo senso, è da rilevare come le deroghe al raggiungimento di uno stato qualitativo buono, come previsto nella Direttiva 2000/60/CE, dovrebbero essere solo temporanee o riguardare lo stato dei corpi idrici nella condizione vigente dei prelievi, ossia si tratta di deroghe imposte per evitare di fermare attività di prelievo già in corso con le conseguenti difficoltà di reperimento di risorse alternative; tutt’altra cosa è invece autorizzare un ulteriore prelievo, di natura strutturale ed a tempo indefinito, in un corpo idrico che già non raggiunga lo stato qualitativo adeguato.La deroga al Deflusso Ecologico dovrebbe restare una misura di assoluta emergenza. Quella per il Tara non trova alcuna giustificazione. Bisogna invece passare da un ormai obsoleto Deflusso Minimo Vitale a un vero e proprio Deflusso Ecologico, che tenga in considerazione i diversi aspetti rilevanti del regime idrologico e le funzioni e servizi ecosistemici ad essi associati.
In ogni caso noi continuiamo a ritenere che il Deflusso Ecologico minimo da garantire sia quello che, per tutti i 12 mesi dell’anno, senza interruzione, permetta di raggiungere un stato di qualità delle acque “Buono”.
Il Tara non è figlio di un dio minore