
Ospitiamo stamattina un contributo dell’Architetto e Artista Visuale Antonello Pelliccia sulla “Poetica dello Spazio Pubblico nella contemporaneità”. Il documento contribuisce al dibattito e al fermento intorno al Movimento Empatico a cui, ricordiamolo, Pelliccia ha già ampiamente contribuito in più modi e in particolare firmando con me il “Nuovo Manifesto sulle Arti” (2019), maggiore base teorica dell’Empatismo.
Scrive Antonello Pelliccia:
L’architettura, quest’arte silenziosa che plasma i contorni della nostra esistenza, si trova oggi a un crocevia. La città contemporanea, con la sua complessità tentacolare, sfida le nostre concezioni tradizionali di spazio e di abitare. Ma per comprendere appieno questa sfida, dobbiamo volgere lo sguardo alle origini, ai primi gesti che hanno dato forma all’architettura. L’origine dell’architettura è intimamente legata al bisogno primario dell’uomo: trovare rifugio, proteggersi dalle intemperie, creare un luogo sicuro dove ripararsi. Ma l’architettura non è solo una risposta a un bisogno materiale; è anche un’espressione del desiderio di dare forma al mondo, di creare un luogo che sia in armonia con la natura e con l’anima. Le prime costruzioni, come i templi e i megaliti, sono spesso orientate secondo i punti cardinali, secondo i movimenti degli astri. Sono il segno di una visione cosmica, di una connessione profonda tra l’uomo e l’universo. L’architettura contemporanea, pur affrontando le sfide della complessità, non può dimenticare le sue origini. Deve riscoprire il valore del gesto primordiale, la sacralità del focolare, l’orientamento cosmico delle prime costruzioni. La città, è un ambito dove le tracce del passato si sovrappongono ai segni del presente. Lo spazio urbano come ci ricordano i filosofi, è anche un luogo di inquietudine, di smarrimento, di perdita di senso.
Marc Augé, con la sua teoria dei “non luoghi”, ci offre una chiave di lettura per comprendere la crisi dello spazio pubblico contemporaneo. Stazioni, aeroporti, centri commerciali, autostrade: questi luoghi di transito, di consumo, di anonimato, hanno sostituito le piazze, le strade, i parchi, i luoghi dell’incontro, della comunità, dell’identità. Gli spazi pubblici sono diventati luoghi di transito, di consumo, di spettacolo, dove l’incontro è fugace, superficiale, privo di profondità.
La prossimità, la vicinanza, la condivisione, sono state sostituite dalla distanza, dall’indifferenza, dall’isolamento. La città è diventata un agglomerato di individui isolati, di interessi particolari, di identità frammentate. Il senso del comune, dell’appartenenza, della responsabilità, è stato eroso dalla competizione, dal consumismo, dall’individualismo. La città non è un testo chiuso, definitivo, ma un’opera aperta, in divenire. Le sue trasformazioni, le sue contraddizioni, le sue ferite sono parte integrante della sua identità. La città come luogo di memoria: Come Walter Benjamin ci ricorda, la città è un luogo di memoria, dove le tracce del passato si conservano, si trasformano, si riattivano. Dobbiamo imparare a leggere queste tracce, a riconoscere il valore della memoria, a custodire la storia dei luoghi. Nonostante le critiche, le denunce, le inquietudini, la città è anche un luogo di possibilità, di creatività, di innovazione. Dobbiamo imparare a cogliere queste possibilità, a immaginare nuovi modi di abitare, di vivere, di essere-con.
Martin Heidegger ci invita a riflettere sull’abitare autentico, sulla cura dello spazio, sulla relazione tra l’essere e il mondo. Lo spazio pubblico, allora, non è solo un luogo funzionale, ma una dimora, un luogo dove l’essere si manifesta, dove la comunità si riunisce. La cura dello spazio pubblico è un gesto etico, un atto di responsabilità verso la comunità, verso l’ambiente, verso il futuro. L’empatia è il fondamento della cura. La partecipazione come processo: la partecipazione dei cittadini è essenziale per la cura dello spazio pubblico. Vuol dire coinvolgere le comunità nei processi di progettazione, di gestione, di trasformazione dei luoghi. Le tre categorie di spazio pubblico: incontro, flusso, soglia, ci offrono una chiave di lettura per comprendere la complessità della città contemporanea. Lo spazio dell’incontro: è il luogo della comunità, delle relazioni, dell’identità. È la piazza, il parco, la strada, la scuola, la biblioteca. Lo spazio dei flussi: è il luogo del movimento, del transito, dell’attraversamento. Sono i “non luoghi” di stazioni, aeroporti, autostrade. Dobbiamo trasformare questi spazi in luoghi di connessione, di scambio, di esperienza, che siano in armonia con l’essere in movimento. Lo spazio di soglia: è il luogo della transizione, della metamorfosi, della possibilità. È lo spazio che si trova tra l’incontro e il flusso, tra il pubblico e il privato, tra il locale e il globale.
Hannah Arendt, affascinata dall’ideale greco dell’agorà, denuncia l’usurpazione dello spazio pubblico da parte dei problemi sociali del lavoro e dei bisogni. La riduzione degli esseri umani a riflessi della produzione e del consumo, la perdita dell’opportunità di dibattere e agire politicamente, sono i sintomi di questa usurpazione. La vita activa: Arendt individua tre condizioni dell’esistenza: il lavoro, la produzione e lo spazio pubblico. Quest’ultimo è il luogo dell’azione collettiva, della disobbedienza civile, della libertà.
Zygmunt Bauman denuncia il divario tra la condizione de jure e de facto degli individui, causato dallo svuotamento dello spazio pubblico, dell’agorà. Questo luogo intermedio, pubblico/privato, dove la politica della vita incontra la Politica con la P maiuscola, è stato svuotato, mercificato, omologato. Lo svuotamento dell’agorà porta alla perdita di mediazione, alla separazione tra la politica e la vita, alla riduzione degli individui a consumatori, a spettatori. Arendt, Habermas e Bauman condividono una nostalgia per l’agorà classica, per il luogo del dialogo, dell’argomentazione, della partecipazione.
Daniel Innerarity si interroga sulla possibilità di ridefinire percorsi di democrazia, di ripensare lo spazio pubblico come luogo di riflessione, di comunità, di pluralità. È necessario generare una nuova cultura politica, capace di vedere a lungo termine, di ridefinire le responsabilità, di valorizzare le differenze. La democrazia deliberativa teorizzata da Habermas, e presente negli scritti di Arendt, è uno strumento per costruire orizzonti sociali condivisi, per superare la negoziazione degli interessi particolari. Per Bachelard, lo spazio non è solo un contenitore, ma un luogo che nutre l’immaginario, che evoca emozioni, che custodisce ricordi. Anche lo spazio pubblico, con i suoi angoli, le sue nicchie, i suoi giardini, può diventare un nido, un rifugio, un luogo di intimità e di protezione. L’architettura empatica, con la sua attenzione all’ascolto, alla partecipazione, alla cura, può contribuire a creare spazi pubblici che siano non solo funzionali, ma anche poetici, che nutrano l’immaginario collettivo. Deleuze, con la sua filosofia della differenza e del divenire, ci offre una prospettiva dinamica e innovativa per ripensare la città e i suoi spazi.
Gilles Deleuze ci invita a resistere alla striatura dello spazio pubblico, alla sua omologazione, alla sua mercificazione. Dobbiamo creare spazi lisci, spazi di libertà, di sperimentazione, di incontro. L’empatia politica, per Jean-Luc Nancy, è un’arte dell’abitare comune, un modo di costruire comunità basate sul dialogo, sulla partecipazione, sulla cura. Significa progettare spazi pubblici che siano luoghi di incontro, di scambio, di democrazia, di immaginazione, di sogno. In definitiva, la città è un ecosistema di relazioni, un luogo dove l’essere si manifesta, dove la comunità si riunisce, dove la vita si svolge. Heidegger ci mette in guardia contro il Ge-stell, la modalità di pensiero tecnico-scientifico che riduce ogni cosa a risorsa, a oggetto di sfruttamento. L’architettura, come forma di tecnica, è anch’essa esposta a questo rischio. L’architettura empatica, allora, è una sfida allo stesso Ge-stell, un tentativo di riappropriarsi del senso dell’abitare, di creare spazi che siano in armonia con la natura, che rispettino la dignità umana. Heidegger parlava della terra e del cielo come delle dimensioni fondamentali dell’esistenza umana. L’architettura empatica, attraverso l’integrazione della natura e dell’arte nell’ambiente costruito, può aiutarci a riconnetterci con queste dimensioni, un’esperienza del Dasein che si manifesta nello spazio. Dobbiamo costruire comunità più umane, più solidali, più accoglienti, riscoprire il senso del nostro essere-nel-mondo.